Come si fa a diventare popolari? Come si fa a farsi seguire da migliaia di persone, sfruttare il passaparola e fare in modo di essere ricordati per primi quando queste avranno bisogno di qualcuno che faccia quel che facciamo noi?
Virale, un’ossessione per ogni marketer
Dieci anni fa i contenuti “virali” erano il Sacro Graal di ogni marketing manager. Tutti noi sognavamo di azzeccare un video o un visual così spiritoso, intelligente o ispirazionale da convincere chiunque a inoltrarlo ai propri contatti. In questo modo saremmo sembrati bravi e intelligenti ai nostri capi, alla marketing community e a noi stessi.
Io conservo e ho condiviso più volte uno di questi contenuti. È una pagina pubblicitaria di Adidas che ritrae Muhammad Ali (ai tempi Cassius Clay) sul ring, dopo il KO inflitto a Sonny Liston a Lewiston nel Maine nel maggio del 1965. La pagina ha per titolo il famoso slogan “Impossible is nothing” e per testo una frase motivazionale attribuita a Mohammed Alì (qui un approfondimento). Non è chiaro se fosse sua davvero, ma era nel suo stile. Conteneva un bel po’ della sua grinta e potrebbe averla pronunciata veramente. Quella pagina era virale. Non vendeva niente, ma contribuiva a far circolare il brand che l’aveva prodotta: ogni volta che la inviavo a qualcuno, condividevo inconsapevolmente anche il brand.
Virale è il contenuto che avremmo voglia di mostrare a tutti
Fare in modo che le persone apprezzino quel che hai da dire e siano felici di condividerlo è un sogno. Non si tratta di far vendere un prodotto. È qualcosa di più sottile: si tratta di creare un “contenuto” che abbia un valore talmente elevato che le persone raggiunte abbiano voglia di mostrarlo ad altri. Anche se proviene da un’azienda, anche se è pubblicità. In fondo è quello che facciamo tutti con le informazioni importanti e con i meme e i contenuti ironici che ci arrivano su whatsapp.
Azzeccare la formula giusta non è facile, ed è per questo che tutti hanno l’ambizione di riuscirci. Tuttavia, alcune cose non hanno nessuno degli ingredienti base della viralità e lo si può intuire a prima vista, soprattutto se ci si abitua ad ascoltare i propri interlocutori. Alcune cose non funzionano perché interessano soltanto a chi le dice e non a chi le ascolta.
Un video simpatico non è necessariamente virale
Qualche anno fa, io e le persone con cui lavoravo tentammo di creare un filmato virale su una linea di frigoriferi. Una coibentazione innovativa ne rendeva le pareti meno spesse: a parità di dimensioni esterne, la loro capacità era maggiore, ci stava più roba. Una cosa utile, ma non facile da comunicare senza esempi pratici.
Decidemmo che avremmo mostrato, con lo schermo diviso a metà, due feste. In ognuna di esse ci sarebbe stato un frigorifero pieno di birra. Gli amici che avevano il nostro frigorifero sarebbero stati più felici degli altri, perché nel nostro modello entravano molte più bottiglie e la festa sarebbe durata più a lungo. Era girato in time lapse e un contatore in sovraimpressione mostrava il numero di bottiglie via via estratte. L’idea era simpatica ed esprimeva bene il vantaggio che voleva pubblicizzare. Era utile e simpatica, ma non era virale. A nessuno sarebbe venuto in mente di mandarlo alla totalità dei propri amici. Perché?
Condividiamo ciò che ci fa apprezzare dagli altri
Perché, come suggerisce Riccardo Scandellari nella sua prefazione alla riedizione di “Contagioso”, di Jonah Berger, “Chi condivide qualcosa lo fa per ottenere una “valuta sociale”, lo fa essenzialmente per se stesso, per apparire più intelligente, informato o divertente”. Con il nostro video, questo risultato non poteva essere raggiunto, perché era poco più che un simpatico spot informativo. Non era di interesse generale, non avrebbe fatto fare bella figura a chi l’avesse condiviso.
Al contrario, i contenuti distopici e complottisti, o di ironia politica sono molto virali, perché il contenuto è inatteso, controintuitivo e, in fin dei conti, originale. Questi contenuti migliorano la reputazione nel gruppo d’appartenenza e sono esattamente la “moneta sociale” di cui parla Riccardo Scandellari.
Chi condivide questi contenuti crede a quel che trasmette ne ha un legittimo dubbio e parla direttamente alle emozioni dei propri interlocutori.
Intuitivamente senza neppure rendersene conto, li ha ascoltati, ha capito cosa li accomuna, a cosa sono interessati. E su queste basi fa una selezione. I contenuti che diventano virali passano il medesimo vaglio delle notizie prima di finire sui media: sono novità? Sono utili? Sono rilevanti per chi le riceve? Le fake news funzionano allo stesso modo. Anzi: sono progettate apposta per essere virali ed adoperano con estrema disinvoltura tutti i meccanismi della persuasione e della viralità.
Come si fa a diventare popolari? Il vantaggio per il lettore è la prima molla della trasmissione virale
Quando produciamo un pezzo di informazione, una comunicazione e abbiamo l’ambizione che attiri l’attenzione e venga condivisa, dovremmo fare la stessa cosa: domandarci se abbia i requisiti giusti, se prima di parlare di noi risolva il problema di chi la riceve o migliori la sua vita.
Allora come si fa a diventare popolari, a fare in modo che i nostri contenuti vengano diffusi volontariamente da altri? Parafrasando un amatissimo presidente statunitense si potrebbe dire: “non chiedetevi cosa gli altri possano fare per voi, chiedetevi cosa voi potete fare per gli altri”.