Tre azioni di marketing per i liberi professionisti

fare marketing per liberi professionisti man-holding-microphone-while-talking-to-another-man

Nel primo articolo di questa breve serie sul marketing e la comunicazione per i liberi professionisti, abbiamo fatto una rapida introduzione ai principali temi di questo argomento, primo tra tutti il posizionamento.

In questo secondo articolo vogliamo ricordare che ogni professionista possiede già gli strumenti di base per ampliare la propria clientela, purché sia deciso ad investire del tempo nel presidio di queste tre “aree”.

Tre azioni di marketing facili facili

Ci sono tre azioni di marketing che i liberi professionisti praticano senza quasi rendersene conto o dovrebbero iniziare ad eseguire. Si tratta di muoversi in aree che, se ben presidiate, possono migliorare molto il rapporto con i clienti esistenti e attirare nuovi clienti potenziali. Esse sono:

  • La fidelizzazione della clientela e l’aumento dei servizi offerti;
  • Il passaparola;
  • la reputazione e la visibilità.

Un libero professionista deve fidelizzare i propri clienti

Acquisire nuovi clienti è molto costoso: sia in termini economici, sia in termini relazionali. È per questo che dobbiamo puntare a creare e rafforzare la lealtà dei clienti che già ci hanno scelto.

Un buon cliente con cui abbiamo una storia di risultati positivi è un piccolo tesoro da non lasciar scappare.

Non soltanto dovremmo fare in modo di essere la sua prima scelta la prossima volta che avrà bisogno di un professionista con le nostre competenze, ma dovremo anche fare in modo che ricorra a noi per altri servizi dello stesso genere. Noi stessi, anzi, dovremmo offrire spontaneamente ai nostri clienti quei servizi che possano migliorare il loro risultato e la loro esperienza con noi.

Perciò dovremmo domandarci se i nostri clienti abbiano idea di cosa possiamo fare per loro e come possiamo informarli, nel caso contrario.

Posizionamento e Scala di Valore

Qui il riferimento è al nostro posizionamento come descritto in precedenza, e anche alla scala di valore, ossia alla nostra offerta completa, che metta in ordine crescente di complessità e prezzo ciò che possiamo fornire oltre al primo servizio che il cliente ha ottenuto da noi.

Nel caso peggiore, andrebbe bene anche se potessimo consigliarlo su servizi che non offriamo direttamente, perché diventando un suo punto di riferimento, rimarremo stabilmente al primo posto nella classifica della sua memoria.

Il passaparola è la miniera d’oro dei liberi professionisti

Una cosa importante da tenere a mente è che, quando parliamo di servizi professionali, facciamo riferimento a beni e servizi costosi, a bassa frequenza d’acquisto e molto importanti per l’acquirente. In questi casi, la scelta del professionista sbagliato ha conseguenze gravi e indesiderate nella vita dei clienti.

Molto spesso, inoltre, il ricorso ad un professionista ha motivi d’urgenza ed è un evento straordinario che non si ripete nel tempo. I clienti, perciò, non possono contare sulla propria esperienza ed è per questo che fanno affidamento ai consigli di persone di cui si fidano.

I clienti vogliono esser certi di aver scelto il professionista giusto

Come ogni libero professionista sa, il passaparola rimane il veicolo principe per l’acquisizione di nuovi clienti. Chiedere indicazioni ad amici, parenti o colleghi, serve a ridurre il rischio di fare la scelta sbagliata e subire conseguenze indesiderate, dato che il costo di una scelta sbagliata è elevatissimo sia in termini economici, sia in termini psicologici.

Perciò, un cliente che si sia trovato bene con noi e sappia di cosa ci occupiamo, può essere il nostro miglior testimonial e fare il nostro nome quando qualcuno dovesse chiedergli di indicare un professionista con le nostre competenze.

Per ottenere questo risultato, per far sì che i nostri clienti scelgano spontaneamente di parlare bene di noi quando ne hanno l’opportunità, bisogna tener viva la relazione con loro come si accennava nel paragrafo precedente.

La reputazione e la visibilità sono il biglietto da visita con cui i liberi professionisti trovano nuovi clienti

Infine, la fiducia, la reputazione e la visibilità sono elementi essenziali nella scelta del professionista. Un professionista che abbia un certo nome nel suo ambiente costituisce spesso una garanzia. Quella reputazione potrebbe essere inconsistente o gonfiata ad arte, ma queste cose si vengono a sapere presto, perciò è improbabile che ad una buona reputazione non corrisponda un professionista all’altezza.

Perciò essere segnalati da qualcuno è importante, ma dobbiamo fare in modo che una successiva ricerca di informazioni sostenga e supporti le buone parole di chi ha fatto il nostro nome.

Un modo abbastanza semplice per aumentare la propria visibilità  è rappresentato dal sito web e dalla presenza sui social.

Il sito web continua a rimanere molto importante nella comunicazione

Anche se molti ritengono che i siti web siano una realtà superata e bastino i social, è necessario ricordare che un  sito web è l’unico strumento online totalmente sotto il nostro controllo: ci scriviamo quel che vogliamo e i nostri contenuti rimarranno lì sino a quando esso sarà aperto.

I social media sono canali di comunicazione fuori dal nostro completo controllo

I social, invece, sono canali di altri e i nostri account, i nostri profili, potrebbero venir chiusi dai proprietari da un momento all’altro senza nemmeno informarci in anticipo: basta un cambio di proprietà o di strategia e noi siamo fuori. È successo a molti influencer e persino ad un ex Presidente degli Stati Uniti d’America.

In questo caso, tutto il nostro lavoro verrebbe cancellato in un istante.

Come possiamo usare questi strumenti? Finché non avremo stabilito e avviato una campagna di marketing, la cosa migliore è preparare i contenuti sul proprio sito e poi diffonderli attraverso i social.

A questo riguardo, ecco una breve raccolta di consigli.

 8 consigli per comunicare meglio dedicati ai liberi professionisti:

  1. Il sito serve: anche se fosse soltanto un sito vetrina, con le informazioni più importanti per noi. Quel posto è nostro e ci scriviamo quello che vogliamo. Facebook, Instagram, LinkedIn, YouTube etc. possono chiuderci il canale che abbiamo sulle loro piattaforme, ma non ci possono chiudere il sito;
  2. I social servono, anche se dobbiamo capire quali possono essere adatti a noi e a ciò che facciamo. Se non abbiamo nessuno cui chiedere, guardiamo cosa fanno i nostri colleghi e cerchiamo di capire se ci sembri una cosa adatta a noi;
  3. Siamo coerenti: distinguiamo i social ad uso personale da quelli ad uso professionale, evitando di mettere le foto in spiaggia insieme ad articoli scientifici;
  4. Rimaniamo costanti nel tempo: meglio pubblicare comunicazioni brevi e frequenti piuttosto che un volume di enciclopedia ogni due anni;
  5. Facciamo in modo di essere utili in ogni nostra comunicazione evitiamo di mettere in mostra noi stessi, ma facciamo in modo che la nostra competenza si deduca dall’utilità che mettetiamo a beneficio del pubblico. Se i contenuti che preparariamo saranno utili e ottimizzati sulle necessità dei motori di ricerca (in ottica SEO, cioè), allora potremo aspettarci che, nel tempo, anche il sito e i social diventino una fonte di traffico per il nostro sito e si traducano in richieste di appuntamenti;
  6. Andiamo dritti al punto: la soglia dell’attenzione è bassa e la durata della concentrazione pure. Sforziamoci di essere brevi e diretti;
  7. Imponiamoci di essere chiari: Usiamo un linguaggio adeguato al pubblico che vogliamo raggiungere. Evitiamo di parlare con un gergo tecnico a chi non è del mestiere, ma usiamolo senza timore quando parliamo a professionisti esperti. Ci si intende prima e meglio;
  8. Materiale di altri. Se condividiamo materiale di altri, non limitiamoci a copiare il link, ma ricordiamoci di spiegare perché il nostro pubblico dovrebbe prenderlo in considerazione: commentiamo e spieghiamo quale beneficio ne abbiamo tratto e quale pensiamo ne potrebbero trarre i nostri contatti. Le parole che useremo per presentare quel contenuto (che potrebbe essere un articolo sul nostro sito, ad esempio) potrebbero essere le uniche che il nostro contatto leggerà e sono quelle che faranno in modo che il link venga cliccato oppure no.

Per concludere

In questi due articoli, abbiamo cercato di introdurre non nuovi strumenti di marketing per liberi professionisti, ma almeno l’ atteggiamento necessario a comunicare.

Sfortunatamente, che voi siate bravi non basta, se non lo sa nessuno.

Un funnel di vendita o la scelta di un responsabile commerciale potranno certamente produrre buoni risultati e accorciare i tempi, però serviranno  tempo e programmazione per ottenere risultati.

Gli argomenti di questi articoli: il posizionamento, la scala di valori, la fidelizzazione, il passaparola e la visibilità rimangono un requisito irrinunciabile. Persino se deciderete di costruire un funnel o affidarvi a un responsabile commerciale.

Come anticipato,  agite con metodo e programmazione, ma non aspettatevi risultati veloci.    Naturalmente, più tempo dedicherete a queste pratiche di base, più in fretta arriveranno i risultati che sperate.

In prossimi articoli parleremo di cosa chiedere ad un consulente e se sia quello giusto per noi.

Marketing per liberi professionisti

Avvocato nello studio con clienti contattati con azioni di marketing e comunicazione per liberi professionisti

Molti liberi professionisti chiedono come fare del marketing o della comunicazione. Spesso non sanno esattamente perché, ma hanno la vaga idea che queste discipline potrebbero aiutarli a incontrare un maggior numero di clienti nuovi.

In effetti è vero: un libero professionista può trarre vantaggio dall’adottare delle azioni di Marketing o comunicazione, ma non sono molti quelli che si avventurano su questa strada.

Ciò avviene perché per farlo dovrebbero superare la convinzione che ciò svilisca il prestigio e l’onorabilità della loro professione. Questo svilimento, però, non è davvero in discussione: i tempi sono cambiati e così anche le modalità con cui un professionista entra in contatto con la propria clientela.

I liberi professionisti sono abituati a credere che il loro lavoro dovrebbe parlare al loro posto. Purtroppo non è così, perché, per raccontarsi, quel lavoro ha bisogno di una ribalta e oggi quella ribalta è immensa, e fatta soprattutto di Web. Inoltre, la concorrenza aumenta più velocemente delle opportunità ed è necessario imparare ad includere gli aspetti di marketing e comunicazione nelle attività quotidiane. Per un professionista della “vecchia scuola” può essere molto impegnativo.

In questo articolo e nel prossimo faremo qualche considerazione utile ai liberi professionisti per assumere un atteggiamento verso il marketing e la comunicazione che possa essere d’aiuto.

I liberi professionisti non posso più fare a meno del marketing e della comunicazione

Le generazioni più giovani, quelle cresciute con i social media, hanno maggiore dimestichezza  con la gestione della comunicazione  e non vedono in essa una minaccia al prestigio della loro professione. I professionisti che si sono formati prima, invece,  hanno spesso delle resistenze a cambiare prospettiva. Tra le loro giustificazioni  più frequenti troviamo, ad esempio:

  • “Non credo nel marketing”
  • “Non voglio svilire la mia professione”
  • “Nella mia professione non è consentito fare pubblicità”
  • “Non ho tempo da dedicare a queste attività”
  • “Non voglio trasformarmi in un venditore”
  • “Non è possibile misurare i risultati”
  • “È impossibile differenziarsi, non vale la pena di provarci”

Queste affermazioni sono tutte legate ad una scarsa conoscenza della materia. Il che è comprensibile, visto che – fino a qualche anno fa – per fare il proprio mestiere non era affatto necessario conoscere questi argomenti.

Il posizionamento è la base del marketing

Rimane perciò il problema: come fare? Negli ultimi anni abbiamo assistito su internet ad un’invasione di agenzie, formatori e venditori che propongono a professionisti e piccoli imprenditori un qualche metodo “magico” per diventare autonomi con il marketing e la comunicazione.

Questi metodi “magici” sono basati soprattutto su strumenti digitali e di solito prevedono  la costruzione di un funnel di vendita. Si tratta di un processo ad imbuto che seleziona – con diversi passi – nuovi clienti potenziali. Si parte da un gran numero di persone contattate con la pubblicità online (su Google, su facebook, linkedin o altri social). Via via, poi, si restringe il gruppo a coloro che sono realmente interessati.

Molti professionisti hanno speso, così, decine di migliaia di euro e centinaia di ore di lavoro per acquisire competenze molto lontane dall’ambito della loro professione, convinti di dover fare da loro stessi quel che serve per farsi conoscere e generare nuovi contatti.

Non è questa la strada giusta: è come se i tassisti dovessero costruire da sé l’automobile con la quale lavorano.

È assurdo e, oltretutto, il risultato non potrà mai essere buono quanto quello fornito da professionisti esperti.

In aggiunta, ciò sottrae energie e focus alla loro attività e ciò comporta il mancato guadagno delle ore non fatturate. Anche se i clienti cui fatturare ancora non ci sono.

Di come e dove trovare questi consulenti parleremo in un altro articolo. Anticipiamo qui che le aziende sono facilitate rispetto ai professionisti, perché le loro necessità sono più codificate e i consulenti aziendali sono figure ormai piuttosto diffuse.

Cosa serve davvero ai professionisti per fare marketing?

Ai professionisti  non serve imparare ad adoperare sofisticati strumenti digitali, ma – piuttosto – imparare a guardare alla propria professione utilizzando un approccio di marketing.

Ciò anche nell’interesse della propria clientela, che in questo modo avrà la certezza di incontrare la persona giusta. Per ottenere questo risultato è necessario sviluppare e alimentare la sensibilità ai temi della comunicazione e del marketing. Si può farlo leggendo buoni libri, seguendo qualcuno dei molti influencer e sperimentando senza timore. Ciò aiuterà a parlare la stessa lingua dei consulenti e sceglierli con maggior competenza sapendo cosa chiedere loro.

I metodi “magici” proposti su internet sono poco adatti alla vendita di servizi professionali. Tuttavia, hanno il vantaggio di  introdurre un approccio che comporta diversi benefici di carattere metodologico.

Il posizionamento per i liberi professionisti

Questi benefici si raccolgono nella scelta esplicita del posizionamento di Mercato.

In altre parole si tratta di decidere:

  • Cosa offro (cosa, esattamente, ho intenzione di fare per i miei clienti e cosa non rientra nella mia offerta);
  • Cosa mi differenzia dagli altri professionisti che si rivolgono al medesimo pubblico con un servizio simile (come lo faccio);
  • A chi mi rivolgo (Quali clienti voglio? Qual è il loro profilo?);
  • In quale fascia di prezzo mi colloco (e come giustifico questa scelta?;

E poi:

  • Posso offrire qualche servizio d’ingresso,  a basso costo o gratuito, che serva a farmi conoscere?
  • Ho una scala di valore, ossia una serie di servizi di importanza e costo via via crescente da offrire ai miei clienti?

Molti professionisti non sono abituati a ragionare in questi termini così esplicitamente commerciali. Rispondere a queste domande, però, può essere utile per definire con precisione la propria offerta. Dalla definizione dell’offerta emergerà con maggior chiarezza quali azioni, non soltanto di marketing e comunicazione, siano coerenti col raggiungimento dei propri obiettivi professionali ed economici.

Nel prossimo articolo accenneremo a tre aree di attività che qualunque professionista presidia o dovrebbe presidiare. In queste aree si compiono azioni così semplici che non le definiremmo nemmeno di marketing, eppure di questo si tratta. Prima di pensare di coinvolgere dei consulenti sulla costruzione di un funnel, bisognerebbe concentrarsi su queste azioni. Poi, magari farsi aiutare dai consulenti anzitutto per occuparsene al meglio.

If it’s not digital, it’s not true Marketing

Il digital Marketing è la nuova frontiera del marketing anche per il commercio tradizionale

What is digital marketing? Does digital marketing really exist? I mean… can you still imagine a marketing that does without digital tools or online activities ? In my opinion no.

There is no difference between digital marketing and “traditional” marketing, except that now the entire purchasing process can be completed online. But this is nothing more than a normal evolution.

We should call all this stuff simply… Marketing.

So why is there so much insistence on this adjective? I think it’s some kind of fear. The fear of not knowing how to handle the whole mass of tools and concepts that in recent years have flooded our lives through the mobile phone screens.

Indeed, instead of enthusiastically greeting the new technical possibilities, we ended up confusing the tools with the purposes. We filled our profession with indicators and targets as if the whole matter of  marketing be solved with those tools and we forgot that even the compass and the sextants are useless if we don’t know which port we want to get to.

Nonetheless, it is true that the introduction of the digital dimension into marketing has created a real rift between the “before” and the “after”, bringing with it two very important consequences.

Marketing before and after the iPhone

The first consequence relates to how much we know about customers.

When Apple launched the iPhone back in 2007, email marketing , SEO and SEM were the most advanced frontier of marketing. Big data already existed, but we weren’t called that yet. The chains of modern distribution collected them with Loyalty programs. They weren’t sure what to do with it and therefore they kept their customers loyal with gifts collections. In the points of sale, things were a little better, because it was possible to carry out Category Management studies , tests for the introduction of new products and evaluations to optimize the purchase paths. More or less that was all.

We knew little about customers and that little we discovered with focus groups and market surveys. These studies were slow, expensive and offered generic answers, referring to the undifferentiated universe of certain categories of customers.

Then we all bought a smartphone and – without even realizing it – we started providing information about our tastes, our families, our friends, our sexual and political preferences. And again: information about the car of our dreams and the one we could afford and on the destination and duration of our holidays. While we watched Facebook and Google, they watched us and learned. They already used to  to beahave like such when we connected from the computer, but the amount of data was infinitely less. We are now connected and monitored around the clock, seven days a week. We discover products online, choose them online and buy them online.

Before smartphones, it was us who gaave data to them. Since we always have one in our pocket, they take them on their own. And they do so with a consent that we grant all too easily.

The things we know about customers

Now, thanks to the large availability of data, we can better understand the Customer journey (the consumer’s purchasing process), define our Buyer Personas (ideal customers) more precisely and then imagine a process of Marketing automation with sales process engineering and lead generation. With the funnel, we design the path by which we meet our potential audience in one of the many touchpoints they attend, we attract their attention, make them a first proposal for an essay and then we raise the bar, we make them become a customer and then we build loyalty.

And that’s not all, because once the customer has provided enough data, they no longer belong to the generic cluster of individuals they resemble in gender, tastes, habits and residences. Now Facebook, Google and many others have his precise psychographic profile and make it available to marketers in varying degrees of detail.

Even if we work well with method, perhaps with a CRM system, we can capitalize on that knowledge and increase the overall value of the relationship. And do it for the duration of his and our life. We know that finding new customers is much more expensive than retaining existing ones, so we keep them loyal. After all, why not stay together “until death do us part”?

One to One Marketing

With this information we can create literally different messages and marketing initiatives for every person on the planet. This is the first consequence of digital: the era of messages and “one to many” initiatives is over. And the communications and marketing projects “One to one” began.

As we know, this matter is ethically very delicate. The risks of privacy violation and manipulation are many. The Cambridge Analytica scandals, with support for Brexit and Mr.Trump’s election confirmed this. Here we can limit ourselves to considering the positive side: greater efficiency in sending relevant messages to people who could really benefit from them.

Conversational Marketing

The second, incredible, innovation introduced by digital tools in marketing is that customers can now respond to the messages we send them: communication is one-to-one, it is an interaction.

We can stop making assumptions and – instead – explicitly ask for their opinion. We can listen to specific requests and increase the level of service we provide.

This is the opportunity, never had before, to interact with the public and obtain directions for developing products and services that truly respond to market demand. Whether explicit or latent.

In this way, the concept of “Ready to Customer Order ” is spread to each category and the risk of producing goods that will remain unsold is reduced. The whole chain of Lean manufacturing  finally makes sense.

Our Customers’ Voice

The customer is no longer passive either . He can exchange information about our product or service and not only with us: he is part of one or more communities, influences others and is – in turn – influenced by them. In this way, a global democracy of judgments and opinions was born. Peer ratings are as important as expert ratings, and sometimes even more, because they cover 100% of the common user experience.

Managing these relationships is certainly very complex, because the points of contact are innumerable and conversations almost always take place in public, where everyone will notice evasive or disrespectful attitudes.

In all these points of contact we must interact with coherence, uniformity of style and appropriate tone of voice. Digital increases the potential, but also the risks. Reputation builds slowly, but can be destroyed in less than a second..

The pitfalls of digital marketing

Why are these two changes produced by digital marketing tools, precise psychographic profiles and multiple interactions relevant? Because with all this information and interactions, it would be reasonable to expect better, more efficient and cheaper goods and services. Is this what’s really happening? It seems like no. Or, at least, not on a large scale.

However, something unexpected is happening: the availability of advanced technology at low cost has significantly increased the use of these tools even by those who, before, would not have had the necessary budget. The number of companies and professionals who today compete online for customers’ attention and time – always the same customers – has practically exploded.

What Is Digital Marketing? Just a way to destroy people’resilience?

The belief that we must play at all tables has led many companies and organizations, even small ones, to multiply the touchpoints in which they hope to intercept customers. So, not only do they end up being repeatedly exposed to the same messages, but this also raises management costs, as it requires to effectively monitor the “places” in which these exchanges take place.

To contain this increase, companies and organizations are induced to resort once again to technology and its automated solutions.

So as soon as you land on a site, you are attacked by a petulant bot that offers its help, the telephone operator of the company you subscribed with, responds with a system based on artificial intelligence (and maybe it does not solve the problem either) and Alexa tries to sell you ” unlimited  music” subscription. These ways of interacting, however, risk aggravating the problem they would like to solve.

This informational and relational pollution ends up by lowering the threshold of attention and the reactivity to new communications. In addition, web users are starting to use countermeasures such as ad – blockers , ie applications for blocking advertising.

People react as they can: they are interested in your messages just as long as they don’t feel hunted.

Rethinking digital marketing

In addition to overload problems, there is another, even greater risk: that of putting all faith in digital tools and forgetting about the strategy.

Because even now that we know everything about our customers, now that we can decide to send a message only to male primary school teachers, with traditional families, who have three children and love albino dogs, live in a small city in the South, in a house they own… what are we talking about to them? And what do we do with their answers?

Let’s assume we have established that these are our buyer personas. It was our intuition or our tools to suggest that. Therefore the purchase intention will be high and that is a promising target.

However, important decisions remain to be taken on what to produce and where, for which customers, at what costs and with which Pricing strategy.

The Old Good Marketing

It will not be SEO, big data, Content Strategy, Click-Through Rate , interactions with a Facebook post or some other KPI to answer these questions. Nor will they help us decide whether to enter a market by evaluating the crowding rate of competitors and profit margins. Online marketing will not formulate our Value proposition or establish the ideal positioning of our brand. These decisions have to be taken before we start using Digital tools of any form. Its indicators are only useful tools for correcting the course. They do not solve the fundamental questions of which direction to take.

All these things – instead – need to be established them with a strategic marketing plan done the old way. It is that plan that, in a manner consistent with the objectives, will establish whether online activities should have a role and what it will be. Just as it always has been for any marketing operation.

Without these fundamental skills, we have something digital, but it is not marketing and we are – at best – good helmsmen, not admirals.

An Italian version of this article can be read here

Photo by Quintin Gellar

Se non è digitale non è vero marketing

Il digital Marketing è la nuova frontiera del marketing anche per il commercio tradizionale

Che cos’è il digital marketing? Il digital marketing esiste davvero? Intendo dire… si può ancora immaginare un marketing che faccia a meno degli strumenti digitali, delle attività online? A mio avviso no. Non esiste differenza tra il marketing digitale e il marketing “tradizionale”, salvo il fatto che ora tutto il processo d’acquisto può completarsi online. Ma questa non è altro che una normale evoluzione.

Dovremmo chiamare tutta questa roba semplicemente… Marketing.

E allora perché si insiste così tanto su quest’aggettivo? Io credo che sia per una sorta di paura. La paura di non saper maneggiare tutta la massa di strumenti e concetti che negli ultimi anni hanno inondato le nostre vite attraverso lo schermo del telefonino.

In effetti, invece di salutare con entusiasmo le nuove possibilità tecniche, abbiamo finito per confondere gli strumenti con gli scopi, Ci siamo riempiti la professione di indicatori e target come se il marketing potesse esaurirsi in essi e ci siamo dimenticati che anche la bussola e il sestante sono inutili, se non sappiamo a quale porto vogliamo arrivare.

Però è vero che l’ingresso del digitale nel marketing ha creato una vera e propria frattura tra il “prima” e il “dopo”, portando con sé due importantissime conseguenze.

Il marketing prima e dopo l’iPhone

La prima di queste conseguenze riguarda ciò che sappiamo sui clienti.

Quando Apple lanciò l’iPhone nel 2007, l’e-mail marketing, la SEO e il SEM erano la frontiera più avanzata del marketing. I Big data esistevano già, ma non si chiamavamo ancora così. Li raccoglievano le catene della grande distribuzione con le Loyalty card. Non sapevano bene cosa farsene e  perciò ci fidelizzavano i clienti con le raccolte a premio. Nei punti di vendita le cose andavano un po’ meglio, perché si potevano fare studi di Category Management, test per l’introduzione di nuovi prodotti  e valutazioni per ottimizzare i percorsi d’acquisto. Più o meno era tutto qui.

Sui clienti sapevamo poco e quel poco lo scoprivamo con focus group e indagini di mercato. Questi studi erano lenti, costosi e offrivano risposte generiche, riferite all’universo indifferenziato di certe categorie di clienti.

Poi tutti abbiamo comprato uno smartphone e – senza nemmeno rendercene conto – abbiamo iniziato a fornire informazioni sui nostri gusti, le nostre famiglie, i nostri amici, le nostre preferenze sessuali e politiche. E ancora: sull’auto dei nostri sogni e quella che ci potevamo permettere e sulla destinazione e la durata delle nostre vacanze. Mentre noi guardavamo facebook e Google, loro guardavano noi e imparavano. Lo facevano già quando ci collegavamo dal computer, ma la quantità di dati era infinitamente minore. Ora siamo connessi e monitorati ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette. Scopriamo i prodotti online, li scegliamo online e li compriamo online.

Prima degli smartphone i dati glieli davamo noi. Da quando ne abbiamo uno sempre in tasca, se li prendono da soli. E lo fanno con un consenso che concediamo fin troppo facilmente.

Le cose che sappiamo sui clienti

In questo modo, grazie alla grande disponibilità di dati, possiamo capire meglio il Customer journey (processo d’acquisto del consumatore) definire con maggior precisione le nostre Buyer persona (i clienti ideali) e poi immaginare un processo di  Inbound Marketing con Funnel di vendita e  Lead generation.  Con il funnel progettiamo il percorso con cui incrociamo il nostro pubblico potenziale in uno dei molti touchpoint che frequenta, attiriamo la sua attenzione, gli facciamo una prima proposta di saggio e in seguito alziamo il tiro, lo facciamo diventare cliente e poi lo fidelizziamo.

E non è tutto qui, perché una volta che il cliente abbia fornito dati a sufficienza, non appartiene più al generico cluster di individui cui somiglia per sesso, gusti, abitudini e residenza. Ora Facebook, Google  e molti altri possiedono il suo  preciso profilo psicografico e lo mettono a disposizione del marketing  in diversi gradi di dettaglio.

Persino, noi, se lavoriamo bene con metodo, magari con un sistema di CRM, possiamo capitalizzare quella conoscenza e accrescere il valore complessivo della relazione. E farlo per tutta la durata della sua e della nostra vita. Sappiamo bene che trovare nuovi clienti è molto più costoso che fidelizzare quelli  acquisiti, perciò li fidelizziamo. Infondo, perché non restare insieme “finché morte non ci separi”?

Marketing One to One

Con queste informazioni possiamo creare messaggi ed iniziative di marketing letteralmente diverse per ogni persona del pianeta. È questa la prima conseguenza del digitale: l‘epoca dei messaggi e delle iniziative “one to many” è finita. Ed è iniziata quella delle comunicazioni e dei progetti di marketing “One to one”.

Come sappiamo, questa materia è eticamente molto delicata. I rischi di violazione della privacy e di manipolazione sono molti. Gli scandali di Cambridge Analytica, con il supporto alla Brexit e all’elezione di Trump lo hanno confermato. Noi qui possiamo limitarci a considerare il lato positivo: una maggior efficienza nell’invio di messaggi pertinenti a persone che potrebbero trarne un vero vantaggio.

Il Marketing conversazionale

La seconda, incredibile, innovazione introdotta dagli strumenti digitali nel marketing è che ora i clienti possono rispondere ai messaggi che gli inviamo: la comunicazione è biunivoca, è un’interazione.

Possiamo smettere di fare ipotesi e – invece – chiedere esplicitamente la loro opinione. Possiamo ascoltare delle richieste specifiche e aumentare il livello di servizio che forniamo.

Si tratta dell’occasione, mai avuta prima, di interagire con il pubblico e ottenere linee guida per sviluppare prodotti e servizi che rispondano davvero ad una domanda di mercato. Esplicita o latente che sia.

In questo modo si diffonde ad ogni categoria il concetto di “Ready to Customer Order”  e si riduce il rischio di produrre beni che resteranno invenduti. Tutta la catena della Lean production e il Just in time hanno finalmente un senso compiuto.

Ma anche il cliente non è più passivo. Può scambiare informazioni sul nostro prodotto o servizio e non soltanto con noi: fa parte di una o più community, influenza altri e ne è – a sua volta influenzato.  In questo modo è nata una democrazia globale dei giudizi e delle opinioni. Le valutazioni dei pari contano quanto quelle degli esperti e a volte anche di più, perché riguardano il 100% dell’esperienza dell’utente comune.

Governare queste relazioni è certamente molto complesso, perché i punti di contatto sono innumerevoli e le conversazioni avvengono quasi sempre in pubblico, dove tutti potranno notare atteggiamenti evasivi o non rispettosi.

In tutti questi punti di contatto dobbiamo interagire con coerenza, uniformità di stile e tono di voce appropriato. Il digitale aumenta le potenzialità, ma anche i rischi. La reputazione si costruisce lentamente, ma si può distruggere in un istante.

Le insidie del marketing digitale

Perché sono rilevanti questi due cambiamenti prodotti dagli strumenti digitali di marketing, profili psicografici precisi e molteplici interazioni? Perché con tutte queste informazioni e interazioni, sarebbe lecito attendersi beni e servizi migliori, più efficienti e a buon mercato. È quel che sta accadendo davvero? Sembra di no. O, perlomeno, non su vasta scala.

Sta accadendo, però, qualcosa di imprevisto: la disponibilità di tecnologia evoluta a basso costo ha accresciuto sensibilmente il ricorso a questi strumenti anche da parte di chi, prima, non avrebbe avuto il budget necessario. Il numero di aziende e professionisti che oggi si contendono online l’attenzione e il tempo dei clienti – sempre gli stessi – è praticamente esploso.

La convinzione che si debba giocare su tutti i tavoli, ha indotto moltissime imprese  e organizzazioni, anche piccole, a moltiplicare i touchpoint nei quali sperano di intercettare i clienti. In questo modo, non soltanto essi finiscono per essere ripetutamente esposti  ai medesimi messaggi, ma ciò alza anche i costi di gestione, in quanto richiede la necessità di presidiare  efficacemente i “luoghi” in cui avvengono questi scambi.

Per contenere tale incremento imprese e organizzazioni sono indotte a ricorrere ancora una volta alla tecnologia, con soluzioni automatizzate.

Perciò appena atterrati su un sito, si viene assaliti da un bot petulante che offre il proprio aiuto, il gestore telefonico, risponde con un sistema basato sull’intelligenza artificiale (e magari non risolve il problema)  e Alexa cerca di vendere abbonamenti musicali “unlimited”. Queste modalità di interazione, tuttavia, rischiano di aggravare il problema che vorrebbero risolvere.

Questo inquinamento informativo e relazionale finisce per abbassare la soglia dell’attenzione e la reattività alle nuove comunicazioni. Inoltre,  gli utenti del web  cominciano ad adoperare contromisure come gli Ad-blocker, ossia applicazioni per il blocco della pubblicità.

Si reagisce come si può: le persone potrebbero anche essere interessate a questi messaggi, solo che si sentono braccate.

Ripensare il marketing digitale

Oltre ai problemi di sovraccarico, esiste un altro rischio, anche maggiore: quello di riporre tutta la fiducia negli strumenti digitali e dimenticare la strategia.

Perché anche ora che sappiamo tutto sui clienti, ora che possiamo decidere di far recapitare un messaggio ai soli  insegnanti di scuola elementare maschi, con famiglie tradizionali, che hanno tre bambini e vivono nella piana di Gioia Tauro, in una casa di proprietà e amano ti cani albini … di cosa gli parliamo? E cosa ne facciamo, delle loro risposte?

Ad esempio, abbiamo stabilito che sono queste le nostre buyer persona. Ce lo dice il nostro intuito oppure i nostri strumenti. Perciò l’intenzione d’acquisto sarà elevata e quello è un target promettente.

Rimangono, però, da prendere le decisioni importanti su cosa produrre e dove, per quali clienti, con quali costi e con quale Strategia di prezzo.

Non saranno la SEO, i big data, la Content Strategy, il Click-Through Rate, le interazioni con un post di facebook o qualche altro KPI a dare una risposta a queste domande. E neppure ci aiuteranno a decidere se entrare in un mercato valutando il tasso di affollamento dei competitor e i margini di profitto. Non sarà il marketing online a formulare la nostra Value proposition o stabilire il posizionamento ideale del nostro brand.  I suoi indicatori sono soltanto utili strumenti che servono per correggere la rotta. Non risolvono le questioni fondamentali sulla direzione da prendere.

Tutte queste cose – invece – le dovremo stabilire con un piano di marketing strategico fatto alla vecchia maniera. È quel piano che, in maniera coerente con gli obiettivi, stabilirà se le attività online dovranno avere un ruolo e quale sarà. Proprio, come è sempre stato per qualsiasi attività operativa di marketing.

Senza queste competenze fondamentali, c’è il digital, ma non il marketing e noi siamo al massimo dei bravi timonieri, non degli ammiragli.

You can find an English version of this article in the blog section.

La brand image è una cavolata?

Automobli Ferrari parcheggiate in una località turistica in Italia

L’immagine aziendale è una cavolata? Lo credono in molti. La responsabile della comunicazione di  un’importante organizzazione mi ha confessato – sconsolata – che i suoi soci, stimati manager e professionisti, aggirano regolarmente gli standard stabiliti per i documenti interni o esterni .  Per loro la brand image non è una componente essenziale del successo. Anzi: in ogni richiamo allo stile ufficiale vedono ogni un’eccessiva burocratizzazione e si rifiutano di tenerne conto.

Eppure, come tutti noi, sono influenzati dalle percezioni.

Tutti noi, quando riconosciamo il marchio su un’automobile, ci facciamo un’idea sul suo prezzo, le sue prestazioni e la sua affidabilità. Se quel veicolo avesse un altro marchio, anche le nostre conclusioni sarebbero diverse. Succede ogni  giorno con gli oggetti e, addirittura, con le persone.

Il potere evocativo del marchio

Succede perché Il marchio ha un grande potere evocativo. Succede perché quello appiccicato sui prodotti non è un semplice logo, ma il segno distintivo di un Brand.

Questa banale osservazione, spesso fatica ad essere compresa.

Un brand, una marca, è un insieme di componenti di cui il marchio è soltanto la parte più visibile, la punta dell’iceberg. Giorno dopo giorno, impariamo a riconoscere i marchi e, senza nemmeno rendercene conto, accumuliamo esperienze ed informazioni anche sulla parte nascosta degli iceberg:  i brand .

Attraverso i marchi e l’identità visiva, ci abituiamo ad associare ad ogni brand un preciso stile d’azione, una determinata qualità e certi valori. La sua reputazione, insomma.

Alla sola vista del logo, tutto un universo di significati ci torna alla mente. In questo modo, i brand non devono rispiegare ogni volta chi sono  e cosa fanno, ma possono limitarsi ad aggiungere l’informazione specifica che vogliono far arrivare al pubblico.

La riconoscibilità visiva migliora l’efficacia e capitalizza gli investimenti in comunicazione. È per questo che le aziende e le organizzazioni fanno così tanti sforzi per ottenerla.

L’importanza della riconoscibilità di un brand

In fondo non è nemmeno tanto importante che abbiamo un bel logo e un’immagine ricercata ed elegante. Ciò che importa è che ci comportiamo in maniera coerente con l’identità che abbiamo costruito.

Già, perché per i brand più noti, la riconoscibilità non è un prodotto del caso, ma il frutto di azioni volontarie e deliberate.

Per le organizzazioni più grandi, l’identità visiva è progettata a tavolino da un team, che la disegna in accordo con la storia che si vuole raccontare, la Vision e la Mission del brand. Persino il nome, viene definito in maniera ragionata (ci sono agenzie che si occupano soltanto di questo): deve essere breve, memorabile, evocativo e facilmente pronunciabile in tutte le aree geografiche. Nulla è lasciato al caso. Non per narcisismo, ma perché la costruzione di un brand e il suo valore passano necessariamente per la riconoscibilità visiva. Per il pubblico, l’immagine  del brand costituisce una promessa. 

Sperperare il valore del brand

Ma quella promessa deve essere mantenuta da tutti i componenti dell’organizzazione che si identifica col brand, non basta che vi si adeguino i vertici.

Danneggiare involontariamente un brand e il suo marchio è facile. Ad esempio, possono farlo i membri di un’organizzazione quando distorcono il logo sui documenti o sul web, quando lo utilizzano con colori “quasi uguali a quelli ufficiali” o quando inviano newsletter  con caratteri tipografici “ più simpatici di quello imposto” .

Il successo o l’insuccesso di un’impresa passa dal mantenimento di quella promessa. E prima ancora che economico, il danno è di reputazione, perché se neppure il marchio riesce ad essere uguale a se stesso, come ci si può aspettare che lo sia tutto il resto? Il pubblico rimane disorientato, non riconosce l’interlocutore, non sa cos’aspettarsi. Però vede una cattiva organizzazione e perde fiducia.

Il danno non riguarda mai soltanto la Direzione di un’organizzazione o la sua proprietà: l’insuccesso produce conseguenze indesiderate su ogni sui componente. Rimediare a quel danno potrebbe essere molto costoso o, addirittura impossibile.

È per questa ragione che un’azienda o un‘organizzazione dovrebbero accertarsi che tutti i membri conoscano le linee guida sull’immagine aziendale e l’importanza di seguirle, perché quelli che sembrano banali margini di libertà rischiano di vanificare il lavoro serio che si fa nel resto  del tempo