Tre azioni di marketing per i liberi professionisti

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Nel primo articolo di questa breve serie sul marketing e la comunicazione per i liberi professionisti, abbiamo fatto una rapida introduzione ai principali temi di questo argomento, primo tra tutti il posizionamento.

In questo secondo articolo vogliamo ricordare che ogni professionista possiede già gli strumenti di base per ampliare la propria clientela, purché sia deciso ad investire del tempo nel presidio di queste tre “aree”.

Tre azioni di marketing facili facili

Ci sono tre azioni di marketing che i liberi professionisti praticano senza quasi rendersene conto o dovrebbero iniziare ad eseguire. Si tratta di muoversi in aree che, se ben presidiate, possono migliorare molto il rapporto con i clienti esistenti e attirare nuovi clienti potenziali. Esse sono:

  • La fidelizzazione della clientela e l’aumento dei servizi offerti;
  • Il passaparola;
  • la reputazione e la visibilità.

Un libero professionista deve fidelizzare i propri clienti

Acquisire nuovi clienti è molto costoso: sia in termini economici, sia in termini relazionali. È per questo che dobbiamo puntare a creare e rafforzare la lealtà dei clienti che già ci hanno scelto.

Un buon cliente con cui abbiamo una storia di risultati positivi è un piccolo tesoro da non lasciar scappare.

Non soltanto dovremmo fare in modo di essere la sua prima scelta la prossima volta che avrà bisogno di un professionista con le nostre competenze, ma dovremo anche fare in modo che ricorra a noi per altri servizi dello stesso genere. Noi stessi, anzi, dovremmo offrire spontaneamente ai nostri clienti quei servizi che possano migliorare il loro risultato e la loro esperienza con noi.

Perciò dovremmo domandarci se i nostri clienti abbiano idea di cosa possiamo fare per loro e come possiamo informarli, nel caso contrario.

Posizionamento e Scala di Valore

Qui il riferimento è al nostro posizionamento come descritto in precedenza, e anche alla scala di valore, ossia alla nostra offerta completa, che metta in ordine crescente di complessità e prezzo ciò che possiamo fornire oltre al primo servizio che il cliente ha ottenuto da noi.

Nel caso peggiore, andrebbe bene anche se potessimo consigliarlo su servizi che non offriamo direttamente, perché diventando un suo punto di riferimento, rimarremo stabilmente al primo posto nella classifica della sua memoria.

Il passaparola è la miniera d’oro dei liberi professionisti

Una cosa importante da tenere a mente è che, quando parliamo di servizi professionali, facciamo riferimento a beni e servizi costosi, a bassa frequenza d’acquisto e molto importanti per l’acquirente. In questi casi, la scelta del professionista sbagliato ha conseguenze gravi e indesiderate nella vita dei clienti.

Molto spesso, inoltre, il ricorso ad un professionista ha motivi d’urgenza ed è un evento straordinario che non si ripete nel tempo. I clienti, perciò, non possono contare sulla propria esperienza ed è per questo che fanno affidamento ai consigli di persone di cui si fidano.

I clienti vogliono esser certi di aver scelto il professionista giusto

Come ogni libero professionista sa, il passaparola rimane il veicolo principe per l’acquisizione di nuovi clienti. Chiedere indicazioni ad amici, parenti o colleghi, serve a ridurre il rischio di fare la scelta sbagliata e subire conseguenze indesiderate, dato che il costo di una scelta sbagliata è elevatissimo sia in termini economici, sia in termini psicologici.

Perciò, un cliente che si sia trovato bene con noi e sappia di cosa ci occupiamo, può essere il nostro miglior testimonial e fare il nostro nome quando qualcuno dovesse chiedergli di indicare un professionista con le nostre competenze.

Per ottenere questo risultato, per far sì che i nostri clienti scelgano spontaneamente di parlare bene di noi quando ne hanno l’opportunità, bisogna tener viva la relazione con loro come si accennava nel paragrafo precedente.

La reputazione e la visibilità sono il biglietto da visita con cui i liberi professionisti trovano nuovi clienti

Infine, la fiducia, la reputazione e la visibilità sono elementi essenziali nella scelta del professionista. Un professionista che abbia un certo nome nel suo ambiente costituisce spesso una garanzia. Quella reputazione potrebbe essere inconsistente o gonfiata ad arte, ma queste cose si vengono a sapere presto, perciò è improbabile che ad una buona reputazione non corrisponda un professionista all’altezza.

Perciò essere segnalati da qualcuno è importante, ma dobbiamo fare in modo che una successiva ricerca di informazioni sostenga e supporti le buone parole di chi ha fatto il nostro nome.

Un modo abbastanza semplice per aumentare la propria visibilità  è rappresentato dal sito web e dalla presenza sui social.

Il sito web continua a rimanere molto importante nella comunicazione

Anche se molti ritengono che i siti web siano una realtà superata e bastino i social, è necessario ricordare che un  sito web è l’unico strumento online totalmente sotto il nostro controllo: ci scriviamo quel che vogliamo e i nostri contenuti rimarranno lì sino a quando esso sarà aperto.

I social media sono canali di comunicazione fuori dal nostro completo controllo

I social, invece, sono canali di altri e i nostri account, i nostri profili, potrebbero venir chiusi dai proprietari da un momento all’altro senza nemmeno informarci in anticipo: basta un cambio di proprietà o di strategia e noi siamo fuori. È successo a molti influencer e persino ad un ex Presidente degli Stati Uniti d’America.

In questo caso, tutto il nostro lavoro verrebbe cancellato in un istante.

Come possiamo usare questi strumenti? Finché non avremo stabilito e avviato una campagna di marketing, la cosa migliore è preparare i contenuti sul proprio sito e poi diffonderli attraverso i social.

A questo riguardo, ecco una breve raccolta di consigli.

 8 consigli per comunicare meglio dedicati ai liberi professionisti:

  1. Il sito serve: anche se fosse soltanto un sito vetrina, con le informazioni più importanti per noi. Quel posto è nostro e ci scriviamo quello che vogliamo. Facebook, Instagram, LinkedIn, YouTube etc. possono chiuderci il canale che abbiamo sulle loro piattaforme, ma non ci possono chiudere il sito;
  2. I social servono, anche se dobbiamo capire quali possono essere adatti a noi e a ciò che facciamo. Se non abbiamo nessuno cui chiedere, guardiamo cosa fanno i nostri colleghi e cerchiamo di capire se ci sembri una cosa adatta a noi;
  3. Siamo coerenti: distinguiamo i social ad uso personale da quelli ad uso professionale, evitando di mettere le foto in spiaggia insieme ad articoli scientifici;
  4. Rimaniamo costanti nel tempo: meglio pubblicare comunicazioni brevi e frequenti piuttosto che un volume di enciclopedia ogni due anni;
  5. Facciamo in modo di essere utili in ogni nostra comunicazione evitiamo di mettere in mostra noi stessi, ma facciamo in modo che la nostra competenza si deduca dall’utilità che mettetiamo a beneficio del pubblico. Se i contenuti che preparariamo saranno utili e ottimizzati sulle necessità dei motori di ricerca (in ottica SEO, cioè), allora potremo aspettarci che, nel tempo, anche il sito e i social diventino una fonte di traffico per il nostro sito e si traducano in richieste di appuntamenti;
  6. Andiamo dritti al punto: la soglia dell’attenzione è bassa e la durata della concentrazione pure. Sforziamoci di essere brevi e diretti;
  7. Imponiamoci di essere chiari: Usiamo un linguaggio adeguato al pubblico che vogliamo raggiungere. Evitiamo di parlare con un gergo tecnico a chi non è del mestiere, ma usiamolo senza timore quando parliamo a professionisti esperti. Ci si intende prima e meglio;
  8. Materiale di altri. Se condividiamo materiale di altri, non limitiamoci a copiare il link, ma ricordiamoci di spiegare perché il nostro pubblico dovrebbe prenderlo in considerazione: commentiamo e spieghiamo quale beneficio ne abbiamo tratto e quale pensiamo ne potrebbero trarre i nostri contatti. Le parole che useremo per presentare quel contenuto (che potrebbe essere un articolo sul nostro sito, ad esempio) potrebbero essere le uniche che il nostro contatto leggerà e sono quelle che faranno in modo che il link venga cliccato oppure no.

Per concludere

In questi due articoli, abbiamo cercato di introdurre non nuovi strumenti di marketing per liberi professionisti, ma almeno l’ atteggiamento necessario a comunicare.

Sfortunatamente, che voi siate bravi non basta, se non lo sa nessuno.

Un funnel di vendita o la scelta di un responsabile commerciale potranno certamente produrre buoni risultati e accorciare i tempi, però serviranno  tempo e programmazione per ottenere risultati.

Gli argomenti di questi articoli: il posizionamento, la scala di valori, la fidelizzazione, il passaparola e la visibilità rimangono un requisito irrinunciabile. Persino se deciderete di costruire un funnel o affidarvi a un responsabile commerciale.

Come anticipato,  agite con metodo e programmazione, ma non aspettatevi risultati veloci.    Naturalmente, più tempo dedicherete a queste pratiche di base, più in fretta arriveranno i risultati che sperate.

In prossimi articoli parleremo di cosa chiedere ad un consulente e se sia quello giusto per noi.

Marketing per liberi professionisti

Avvocato nello studio con clienti contattati con azioni di marketing e comunicazione per liberi professionisti

Molti liberi professionisti chiedono come fare del marketing o della comunicazione. Spesso non sanno esattamente perché, ma hanno la vaga idea che queste discipline potrebbero aiutarli a incontrare un maggior numero di clienti nuovi.

In effetti è vero: un libero professionista può trarre vantaggio dall’adottare delle azioni di Marketing o comunicazione, ma non sono molti quelli che si avventurano su questa strada.

Ciò avviene perché per farlo dovrebbero superare la convinzione che ciò svilisca il prestigio e l’onorabilità della loro professione. Questo svilimento, però, non è davvero in discussione: i tempi sono cambiati e così anche le modalità con cui un professionista entra in contatto con la propria clientela.

I liberi professionisti sono abituati a credere che il loro lavoro dovrebbe parlare al loro posto. Purtroppo non è così, perché, per raccontarsi, quel lavoro ha bisogno di una ribalta e oggi quella ribalta è immensa, e fatta soprattutto di Web. Inoltre, la concorrenza aumenta più velocemente delle opportunità ed è necessario imparare ad includere gli aspetti di marketing e comunicazione nelle attività quotidiane. Per un professionista della “vecchia scuola” può essere molto impegnativo.

In questo articolo e nel prossimo faremo qualche considerazione utile ai liberi professionisti per assumere un atteggiamento verso il marketing e la comunicazione che possa essere d’aiuto.

I liberi professionisti non posso più fare a meno del marketing e della comunicazione

Le generazioni più giovani, quelle cresciute con i social media, hanno maggiore dimestichezza  con la gestione della comunicazione  e non vedono in essa una minaccia al prestigio della loro professione. I professionisti che si sono formati prima, invece,  hanno spesso delle resistenze a cambiare prospettiva. Tra le loro giustificazioni  più frequenti troviamo, ad esempio:

  • “Non credo nel marketing”
  • “Non voglio svilire la mia professione”
  • “Nella mia professione non è consentito fare pubblicità”
  • “Non ho tempo da dedicare a queste attività”
  • “Non voglio trasformarmi in un venditore”
  • “Non è possibile misurare i risultati”
  • “È impossibile differenziarsi, non vale la pena di provarci”

Queste affermazioni sono tutte legate ad una scarsa conoscenza della materia. Il che è comprensibile, visto che – fino a qualche anno fa – per fare il proprio mestiere non era affatto necessario conoscere questi argomenti.

Il posizionamento è la base del marketing

Rimane perciò il problema: come fare? Negli ultimi anni abbiamo assistito su internet ad un’invasione di agenzie, formatori e venditori che propongono a professionisti e piccoli imprenditori un qualche metodo “magico” per diventare autonomi con il marketing e la comunicazione.

Questi metodi “magici” sono basati soprattutto su strumenti digitali e di solito prevedono  la costruzione di un funnel di vendita. Si tratta di un processo ad imbuto che seleziona – con diversi passi – nuovi clienti potenziali. Si parte da un gran numero di persone contattate con la pubblicità online (su Google, su facebook, linkedin o altri social). Via via, poi, si restringe il gruppo a coloro che sono realmente interessati.

Molti professionisti hanno speso, così, decine di migliaia di euro e centinaia di ore di lavoro per acquisire competenze molto lontane dall’ambito della loro professione, convinti di dover fare da loro stessi quel che serve per farsi conoscere e generare nuovi contatti.

Non è questa la strada giusta: è come se i tassisti dovessero costruire da sé l’automobile con la quale lavorano.

È assurdo e, oltretutto, il risultato non potrà mai essere buono quanto quello fornito da professionisti esperti.

In aggiunta, ciò sottrae energie e focus alla loro attività e ciò comporta il mancato guadagno delle ore non fatturate. Anche se i clienti cui fatturare ancora non ci sono.

Di come e dove trovare questi consulenti parleremo in un altro articolo. Anticipiamo qui che le aziende sono facilitate rispetto ai professionisti, perché le loro necessità sono più codificate e i consulenti aziendali sono figure ormai piuttosto diffuse.

Cosa serve davvero ai professionisti per fare marketing?

Ai professionisti  non serve imparare ad adoperare sofisticati strumenti digitali, ma – piuttosto – imparare a guardare alla propria professione utilizzando un approccio di marketing.

Ciò anche nell’interesse della propria clientela, che in questo modo avrà la certezza di incontrare la persona giusta. Per ottenere questo risultato è necessario sviluppare e alimentare la sensibilità ai temi della comunicazione e del marketing. Si può farlo leggendo buoni libri, seguendo qualcuno dei molti influencer e sperimentando senza timore. Ciò aiuterà a parlare la stessa lingua dei consulenti e sceglierli con maggior competenza sapendo cosa chiedere loro.

I metodi “magici” proposti su internet sono poco adatti alla vendita di servizi professionali. Tuttavia, hanno il vantaggio di  introdurre un approccio che comporta diversi benefici di carattere metodologico.

Il posizionamento per i liberi professionisti

Questi benefici si raccolgono nella scelta esplicita del posizionamento di Mercato.

In altre parole si tratta di decidere:

  • Cosa offro (cosa, esattamente, ho intenzione di fare per i miei clienti e cosa non rientra nella mia offerta);
  • Cosa mi differenzia dagli altri professionisti che si rivolgono al medesimo pubblico con un servizio simile (come lo faccio);
  • A chi mi rivolgo (Quali clienti voglio? Qual è il loro profilo?);
  • In quale fascia di prezzo mi colloco (e come giustifico questa scelta?;

E poi:

  • Posso offrire qualche servizio d’ingresso,  a basso costo o gratuito, che serva a farmi conoscere?
  • Ho una scala di valore, ossia una serie di servizi di importanza e costo via via crescente da offrire ai miei clienti?

Molti professionisti non sono abituati a ragionare in questi termini così esplicitamente commerciali. Rispondere a queste domande, però, può essere utile per definire con precisione la propria offerta. Dalla definizione dell’offerta emergerà con maggior chiarezza quali azioni, non soltanto di marketing e comunicazione, siano coerenti col raggiungimento dei propri obiettivi professionali ed economici.

Nel prossimo articolo accenneremo a tre aree di attività che qualunque professionista presidia o dovrebbe presidiare. In queste aree si compiono azioni così semplici che non le definiremmo nemmeno di marketing, eppure di questo si tratta. Prima di pensare di coinvolgere dei consulenti sulla costruzione di un funnel, bisognerebbe concentrarsi su queste azioni. Poi, magari farsi aiutare dai consulenti anzitutto per occuparsene al meglio.

Virale, Sacro Graal del marketing

Mohamed Ali by Neil Leifer after KO to Sonny Liston, rematch1965 Ad by Adidas "Impossible Is Nothing"

Come si fa a diventare popolari? Come si fa a farsi seguire da migliaia di persone, sfruttare il passaparola e fare in modo di essere ricordati per primi quando queste avranno bisogno di qualcuno che faccia quel che facciamo noi?

Virale, un’ossessione per ogni marketer

Dieci anni fa i contenuti “virali” erano il Sacro Graal di ogni marketing manager. Tutti noi sognavamo di azzeccare un video o un visual così spiritoso, intelligente o ispirazionale da convincere chiunque a inoltrarlo  ai propri  contatti.  In questo modo saremmo sembrati  bravi e intelligenti ai nostri capi, alla marketing community e a noi stessi.

 Io conservo e ho condiviso più volte uno di questi contenuti. È una pagina pubblicitaria di Adidas che ritrae Muhammad Ali (ai tempi Cassius Clay) sul ring, dopo il KO inflitto a Sonny Liston a Lewiston nel Maine nel maggio del 1965. La pagina ha per titolo il famoso slogan “Impossible is nothing” e per testo una frase motivazionale attribuita a Mohammed Alì (qui un approfondimento). Non è chiaro se fosse sua davvero, ma era nel suo stile. Conteneva un bel po’ della sua grinta e potrebbe averla pronunciata veramente. Quella pagina era virale. Non vendeva niente, ma contribuiva a far circolare il brand che l’aveva prodotta: ogni volta che la inviavo a qualcuno, condividevo inconsapevolmente anche il brand.

Virale è il contenuto che avremmo voglia di mostrare a tutti

Fare in modo che le persone apprezzino quel che hai da dire e siano felici di condividerlo è un sogno. Non si tratta di far vendere un prodotto. È qualcosa di più sottile: si tratta di creare un “contenuto” che abbia un valore talmente elevato che le persone raggiunte abbiano voglia di mostrarlo ad altri. Anche se proviene da un’azienda, anche se è pubblicità. In fondo è quello che facciamo tutti con le informazioni importanti e con i meme e i contenuti ironici che ci arrivano su whatsapp.

Azzeccare la formula giusta non è facile, ed è per questo che tutti hanno l’ambizione di riuscirci. Tuttavia, alcune cose non hanno nessuno degli ingredienti base della viralità e lo si può intuire a prima vista, soprattutto se ci si abitua ad ascoltare i propri interlocutori. Alcune cose non funzionano perché interessano soltanto a chi le dice e non a chi le ascolta.

Un video simpatico non è necessariamente virale

Qualche anno fa, io e le persone con cui lavoravo tentammo di creare un filmato virale su una linea di frigoriferi. Una coibentazione innovativa ne rendeva le pareti meno spesse: a parità di dimensioni esterne, la loro capacità era maggiore, ci stava più roba. Una cosa utile, ma non facile da comunicare senza esempi  pratici.

Decidemmo che avremmo mostrato, con lo schermo diviso a metà, due feste. In ognuna di esse ci sarebbe stato un frigorifero pieno di birra. Gli amici che avevano il nostro frigorifero sarebbero stati più felici degli altri, perché nel nostro modello entravano molte più bottiglie e la festa sarebbe durata più a lungo. Era girato in time lapse e un contatore in sovraimpressione mostrava il numero di bottiglie via via estratte. L’idea era simpatica ed esprimeva bene il vantaggio che voleva pubblicizzare. Era utile e simpatica, ma non era virale.  A nessuno sarebbe venuto in mente di mandarlo alla totalità dei propri amici. Perché?

Condividiamo ciò che ci fa apprezzare dagli altri

Perché, come suggerisce Riccardo Scandellari nella sua prefazione alla riedizione di “Contagioso”, di Jonah Berger, “Chi condivide qualcosa lo fa per ottenere una “valuta sociale”, lo fa essenzialmente per se stesso, per apparire più intelligente, informato o divertente”.  Con il nostro video, questo risultato non poteva essere raggiunto, perché era poco più che un simpatico spot informativo. Non era di interesse generale, non avrebbe fatto fare bella figura a chi l’avesse condiviso.

Al contrario, i contenuti distopici e complottisti, o di ironia politica sono molto  virali, perché il contenuto è inatteso, controintuitivo e, in fin dei conti, originale. Questi contenuti  migliorano la reputazione nel gruppo d’appartenenza e sono esattamente la “moneta sociale” di cui parla Riccardo Scandellari.

Chi condivide questi contenuti crede a quel che trasmette ne ha un legittimo dubbio e parla direttamente alle emozioni dei propri interlocutori.

 Intuitivamente  senza neppure rendersene conto, li ha ascoltati, ha capito cosa li accomuna, a cosa sono interessati. E su queste basi fa una selezione. I contenuti che diventano virali passano il medesimo vaglio delle notizie prima di finire sui media: sono novità? Sono utili? Sono rilevanti per chi le riceve? Le fake news funzionano allo stesso modo. Anzi: sono progettate apposta per essere virali ed adoperano con estrema disinvoltura tutti i meccanismi della persuasione e della viralità.

Come si fa a diventare popolari? Il vantaggio per il lettore è la prima molla della trasmissione virale

Quando produciamo un pezzo di informazione, una comunicazione e abbiamo l’ambizione che attiri l’attenzione e venga condivisa, dovremmo fare la stessa cosa: domandarci se abbia i requisiti giusti, se prima di parlare di noi risolva il problema di chi la riceve o migliori la sua vita.

Allora come si fa a diventare popolari, a fare in modo che i nostri contenuti vengano diffusi volontariamente da altri? Parafrasando un amatissimo presidente statunitense si potrebbe dire: “non chiedetevi cosa gli altri possano fare per voi, chiedetevi cosa voi potete fare per gli altri”.

Man Bites Dog: The Perfect Press Release

Sua Altezza Reale Elisabetta II Regina del Regno Unito fotografata da Annie Leibowitz con i suoi cani in occasione del suo 90 compleanno per VanityFair Estate 2016

An old journalism motto says that if a dog bites a man it is not news, while a man who bites a dog does. Unless it’s the queen’s dog, I add. The Queen’s dogs always make the news.

If you are not the queen and you want reporters to talk about you, you need three things: news, the perfect press release and good relations with reporters. Let’s look at these things one by one.

Not Everything Is News

The dog that bites a passer-by is not news because it is a frequent thing in our daily life. If we are that man, or if we are the owners of that dog, what happened will seem terribly important to us. Not everything that seems important to us, however, is really “newsworthy”.

What we need to understand is that – professionally speaking – journalists don’t care much about us and our message. Journalists are interested in the news. Each journalist receives hundreds of emails a day at their desk, sent by people who are convinced that what they want to say is really of general importance. In fact, it really is important, but only for themselves, not for the general public.

From the point of view of those who work for an information magazine, however, that communication may not be important and may not even contain a real piece of news. The truth is that few of the communications they receive are really relevant to news outlets.

Remember that space in the media is scarce, even if when we come to online publications. Equally poor is the attention of the public and it cannot be played with irrelevant information.

An event that has happened can only become news if it is unusual and relevant . Of course, this judgment is relative, not absolute. What is relevant news for a specialized audience may not be relevant for the general public. And viceversa.

The way in which a news is “constructed”, or the story of it, can make the difference, and this is the work of specialists. Most practical thing to do is to specialize or get help from a professional.

A Press Release That’s Perfect: Look How You Write It, More Or Less

Let’s say you have some real news (again the queen’s dog, or an initiative of your non-profit organization, or a revolutionary toothpaste …) and that you intend to make the world aware of it.

What are you doing? You write a big press release and ” spam ” it to the five hundred e-mail addresses of newspapers that a friend of your cousin passed you. Done! No? On the other hand, even if in the midst of those five hundred there are people and out-of-target editorial offices… who cares? At most they don’t publish it. After all … isn’t that their job? In fact, no, that’s not their job.

The Short Way To The Waste Bin

Because in the editorial office, given that he is flooded with e-mails, a journalist has a few seconds to decide whether to open your e-mail or forward it directly to the waste bin. It almost always decides on the basis of the sender (do I know him, is he reliable?) And the subject of the email (does it seem interesting?).

The emails that pass the first screening, have at most another couple of lines of breath before being trashed. In those two lines the fate of your press release and the news you care so much are at stake. If the first words of the article, the lead, does not catch the eye, it ends up in the basket on the second round instead of the first. And you don’t want to end up in the trash, right?

Therefore it is important that the subject of the email, title and initial sentence invite the reader to continue reading. At that point you will have had your chance, but you have only put your foot into the ajar door.

Not only the Lead, but the whole press release must be perfect, packaged according to some important rules. Here we indicate a few.

A Twelve Step Path to Get Your Perfect Press Release Done

Organize The Content of Your Press Release

  • It must be written ” like a funnel “, organized in paragraphs that gradually add complementary details but less interesting for the public;
  • Offer a title and a two- or three-line summary;
  • The first paragraph should already contain everything a hasty reader needs to know. If the journalist does not have much space (even in online journalism there is a problem of space) but decides to give the news anyway, in those first lines there must be all the essential: the answer to the classic 5Ws of journalism : Who? What? When? Where? Why?
  • Try to keep a simple style , don’t use long sentences and pay attention to punctuation. Remember that you are writing for an organization that has a style and a brand. Be consistent with the brand you represent . Shakespeare was not good at press releases. Don’t write like him;
  • Explain the things you say without assuming that everyone knows the topic you are writing about. Do it as if you were explaining it to a five-year -old;
  • If you mention people , write their name, surname, role … and their “relevant” statement in quotation marks, so that the reader gets the impression that the journalist was there. It helps to increase the interest of readers;
  • Remember that, most likely, the journalist will not have time to do research and it would be better to attach any necessary document without hoping that he will go looking for them: high resolution photographs but not “heavy”, external links in the text of the email and so on;
  • At the bottom of the press release always indicate your references and a brief profile of the organization (company, institution .. etc ) on behalf of which you are writing. This information will help the reporter understand who you are and possibly integrate the text;

After You have Packed Your Press Kit

  • Do not send your press release in pdf format. What matters here is the text, not the appearance. If the editor has to work too hard on your piece, they will prefer another one. After all, not publishing your news won’t compromise his career. After all… you are not the Queen;
  • Choose newspapers and journalists who deal with the topics of your press release , you will increase the probability that it will be published;
  • Send your press release in time (you should find out about the closing dates of the issue in the editorial office); periodicals have very different timing from newspapers. Take this into account;
  • Cross your fingers . It is quite unlikely that – without direct contact – your press release will be published, but you never know …

Your Relationship With Journalists

Now that, following these directions, you have written your perfect press release on the perfect news… what do you do with it? Do you have the right contacts to get the press release “out”?

The relationship with journalists is essential for good communication. Journalists experienced in the sector you are interested in can listen to what you have to say and, if they find it interesting, decide to dedicate attention and room to it. It is their job and to arrive first or in an original way on a story. It is a reason for professional gratification, also. Of course there must be a story to tell ,otherwise even the most generous professional could do not much to help you.

So, instead of spreading press releases left and right as you would with icing sugar on a cake, make a list of journalists and bloggers who follow your industry and try to get them close in time. It is better to have a few useful and direct contacts rather than hundreds of names of strangers. Those who know you will be able to evaluate your work more carefully.

Build a relationship with them and you will have a relationship when you need it. Give before asking.

Getting Help From media relations professionals

But you could probably also do without taking the time and energy to do all the work of finding the news, writing a press release, and contacting the reporters yourself. The investment of time and attention it takes to send out a few press releases a year may not pay off with results.

There are public relations and media relations  companies or Press Office professionals who do nothing else than this, from morning to evening. They know how to recognize what is “newsworthy” in what you do, they know how to write press releases and they know journalists.

Communication professionals have built up a network of relationships over time. This is the key phrase in the whole affair. Those, the relationships, really make the difference. With a little practice and a few good manuals you might even get to write the perfect press release, but ultimately, that’s not the most important thing. The really important thing is to get to know the journalists in the sector directly and to be able to call them directly on the phone and maybe meet them. This is the one thing that reduces the risk of your news ending up in the trash can and this is the reason why you might decide to turn to professionals.

Improve Your Skills To Write The Perfect Press Release

Sure, communications professionals will want to get paid and maybe you can’t afford it. In this case you will have to do it yourself, perhaps using a book like A Modern Guide to Public Relations by Amy Rosenberg . Which can be a good starting point if you are completely lacking in information on the subject or if you want to keep up to date. These are not affiliation links.

Anyone can build a good contact agenda, but it takes time and good will. If you decide to go it alone, take this into account.

The photo illustration in this article reproduces the cover of Vanity Fair Summer 2016. The photo was taken by American photographer Annie Leibovitz. Copyright by Annie Leibovitz and Vanity Fair.

Uomo morde cane: il comunicato stampa perfetto

Sua Altezza Reale Elisabetta II Regina del Regno Unito fotografata da Annie Leibowitz con i suoi cani in occasione del suo 90 compleanno per VanityFair Estate 2016

Una vecchia massima del giornalismo dice che se un cane morde un uomo non fa notizia, mentre un uomo che morde un cane sì. A meno che non sia il cane della regina. I cani della regina fanno sempre notizia.

Se voi non siete la regina e volete che i giornalisti parlino di voi vi servono tre cose: una notizia, il comunicato stampa perfetto e buoni rapporti con i giornalisti. Vediamo queste cose una per una.

Non tutto fa notizia

Il cane che morde un passante non fa notizia perché è una cosa frequente nella nostra quotidianità. Se quell’uomo siamo noi,  o se siamo i padroni di quel cane, la cosa ci sembrerà  terribilmente  importante. Non tutto quello che ci sembra importante, però, è davvero “notiziabile”.

Quello che dobbiamo capire è che – professionalmente parlando – ai giornalisti non importa molto di noi e del nostro messaggio. Ai giornalisti interessano le notizie. Ogni giornalista riceve al proprio desk centinaia di mail al giorno, inviate da persone convinte che quel che vogliono dire sia davvero di importanza generale. In effetti importante lo è davvero, ma soltanto per loro stessi, non per il vasto pubblico.

Dal punto di vista di chi lavora per una testata di informazione, invece, quella comunicazione potrebbe non essere importante e non contenere nemmeno una vera una notizia. La verità è che poche delle comunicazioni che ricevono sono davvero rilevanti per le testate d’informazione.

Lo spazio sui mezzi di informazione è scarso, anche se si stratta di testate online. Altrettanto scarsa è l’attenzione del pubblico e non ce la si può giocare con informazioni irrilevanti.

Un fatto accaduto può diventare una notizia soltanto se è inconsueto e rilevante. Naturalmente, questo giudizio è relativo, non assoluto. Quella che è una notizia rilevante per un pubblico specializzato, potrebbe non esserlo per il pubblico generale. E viceversa.

Il modo in cui si “costruisce” una notizia, oppure il suo racconto possono fare la differenza, e questo è un lavoro da specialisti. La cosa più pratica da fare è specializzarsi oppure farsi aiutare da un professionista.

Il comunicato stampa perfetto: ecco come si scrive, più o meno

Mettiamo che abbiate una vera notizia (ancora il cane della regina, oppure un’iniziativa della vostra Onlus, o un dentifricio rivoluzionario…) e che abbiate intenzione di metterne a conoscenza il mondo.

Che fate? Scrivete un gran comunicato stampa e lo “spammate” ai cinquecento indirizzi di posta elettronica di testate giornalistiche che vi ha passato un amico di vostro cugino. Ecco fatto!  No? D’altro canto, anche se in mezzo ai quei cinquecento ci sono persone e redazioni fuori target… chi se ne importa? Al massimo non lo pubblicano. In fondo… non è il loro mestiere? In effetti no, non è quello il loro mestiere.

La scorciatoia per il cestino della carta straccia

Perché in redazione, dato che è sommerso dalle mail, un giornalista ha pochi secondi per decidere se aprire la vostra mail o inoltrarla direttamente al cestino dei rifiuti. Quasi sempre decide in base al mittente (lo conosce, è affidabile?) e all’oggetto della mail (sembra interessante?).

Le mail che passano il primo vaglio, hanno al massimo un altro paio di righe di respiro prima di essere  cestinate. In quelle due righe si giocano il destino del vostro comunicato stampa e della notizia cui tenete tanto. Se l’attacco del pezzo, il lead, non cattura l’attenzione, finisce nel cestino al secondo giro invece che al primo. E a voi non va di finire nel cestino.

Perciò è importante che l’oggetto della mail,  titolo e la frase iniziali invitino il lettore a proseguire nella lettura. A quel punto avrete avuto la vostra occasione, ma siete soltanto all’inizio.

Non soltanto il Lead, ma tutto il comunicato stampa deve essere perfetto, confezionato secondo alcune regole importanti. Qui ne indichiamo qualcuna .

Un percorso in dodici passi per preparare il Press Kit perfetto

Come organizzare il Press Kit

  • Il comunicato deve essere scritto “ad imbuto”, organizzato in paragrafi che aggiungano via via particolari complementari ma meno interessanti per il pubblico;
  • Proponete un titolo e un sommario di due o tre righe;
  • Il primo paragrafo dovrebbe contenere già tutto quel che serve sapere ad un lettore frettoloso. Se il giornalista non ha molto spazio (anche nel giornalismo online esiste un problema di spazio) ma decide di dare ugualmente la notizia, in quelle prime righe ci deve essere tutto l’essenziale: la risposta alle classiche 5W del giornalismo: Who, What, When, Where, Why: Chi? Cosa? Quando? Dove? Perché?.
  • Cercate di tenere uno stile semplice, non utilizzate frasi lunghe e fate attenzione alla punteggiatura. Ricordate che che scrivete per un’organizzazione che ha uno stile e un brand. Siate coerenti con il brand che rappresentate. Dante non era bravo con i comunicati stampa. Non scrivete come lui;
  • Spiegate le cose che dite senza dare per scontato che tutti conoscano l’argomento di cui state scrivendo. Fatelo come se lo spiegaste ad un bambino di cinque anni;
  • Se citate delle persone, riportatene nome, cognome, ruolo… e  una loro dichiarazione “rilevante” tra virgolette, in modo che il lettore abbia l’impressione che il giornalista era presente al momento del fato di cui scrive. Aiuta ad aumentare l’interesse dei lettori;
  • Ricordate che, molto probabilmente, il giornalista non avrà il tempo di fare ricerche e sarebbe meglio allegare i documenti necessari senza sperare che vada a cercarli lui: fotografie in alta risoluzione ma non “pesanti”, link esterni nel testo della mail e cosi via;
  • In calce al comunicato indicate sempre i vostri riferimenti e un breve profilo dell’organizzazione (azienda, ente.. etc) per cui scrivete. Queste informazioni aiuteranno il giornalista a capire chi siete e, eventualmente, ad integrare il testo.

Ora che il vostro Press Kit è pronto

  • Non mandate il comunicato in pdf. Quel che conta è il testo. Se il redattore deve lavorare troppo sul vostro pezzo, ne preferirà un altro. Dopotutto  non pubblicare la vostra notizia non comprometterà la sua carriera. In fondo… non siete la Regina;
  • Scegliete testate  e giornalisti che trattino gli argomenti del vostro comunicato, aumenterete le probabilità che venga pubblicato;
  • Inviate il vostro comunicato per tempo (dovreste informarvi sulle date di chiusura del numero in redazione); i periodici hanno tempi molto diversi dai quotidiani. Tenetene conto;
  • Incrociate le dita. È piuttosto improbabile che – senza un contatto diretto – il vostro comunicato venga pubblicato, però non si sa mai…

Il rapporto con i giornalisti

Ora che, seguendo queste indicazioni, avete scritto il vostro comunicato stampa perfetto sulla notizia perfetta…che cosa ve ne fate? Li avete i contatti giusti per far “uscire” il comunicato?

La relazione con i giornalisti è fondamentale per la buona comunicazione. Un giornalista o una giornalista esperti nel settore che vi interessa possono ascoltare quel che avete da dire e, se lo valutano interessante, decidere di dedicargli dello spazio. È il loro mestiere e arrivare per primi o in modo originale su una storia, è motivo di gratificazione professionale.  Naturalmente ci deve essere una storia da raccontare altrimenti anche il professionista più generoso non potrà esservi utile.

Perciò, invece di spargere comunicati stampa a destra e sinistra come fareste con lo zucchero a velo sul pandoro, fatevi una lista di giornalisti e blogger che seguono il vostro settore e cercate di avvicinarli per tempo. È  meglio avere pochi contatti utili e diretti piuttosto che  centinaia di nominativi di sconosciuti. Chi vi conosce potrà valutare con maggior attenzione il vostro lavoro. Costruite la relazione con loro e avrete una relazione quando vi servirà. Date prima di chiedere.

Farsi aiutare da professionisti delle relazioni con la stampa

Probabilmente, però, potreste anche fare a meno di impiegare tempo ed energie per fare da soli tutto il lavoro di trovare la notizia, scrivere un comunicato e contattare i giornalisti. L’investimento di tempo e attenzione che vi si richiede per inviare pochi comunicati stampa l’anno potrebbe non essere ripagato dai risultati.

Esistono i professionisti di pubbliche relazioni e media relation o Ufficio Stampa che non fanno altro dal mattino alla sera: sanno riconoscere ciò che è “notiziabile” in quel che fate, sanno scrivere i comunicati stampa e conoscono i giornalisti.

I professionisti della comunicazione, hanno costruito nel tempo una rete di relazioni. Questa è la parola chiave di tutta la faccenda.   Sono quelle, le relazioni, a fare  davvero la differenza. Con un po’ di pratica e qualche buon manuale potreste anche arrivare a scrivere il comunicato stampa perfetto, ma in ultima analisi, non è questa la cosa più importante. La cosa davvero importante è conoscere direttamente i giornalisti del settore e poterli chiamare direttamente al telefono e magari incontrarli. È questa la cosa che riduce il rischio che la vostra notizia finisca nel cestino della spazzatura ed è questa la ragione per cui potreste decidere di rivolgervi a dei professionisti.

Certo, i professionisti della comunicazione vorranno esser pagati e forse voi non potete permettervelo. In tal caso dovrete fare da soli, magari adoperando un manuale di Ufficio Stampa e Digital PR come quello di Francesca Anzalone. oppure l’ottimo Pr e media relations per piccole e medie imprese di Jessica Malfatto. Questi libri possono costituire una buona base di partenza se siete del tutto a digiuno di informazioni sull’argomento o un buon ripasso se volete aggiornarvi.

Chiunque può costruirsi una buona agenda di contatti, ma è una cosa che richiede tempo e buona volontà. Se decidete di far da soli, tenetene conto.

The power of daily posts

Is it useful to post every day?

The article you are about to read was written in English by an artificial intelligence software.

The Power of Daily Posts

Do you feel that you need to post every day? Or maybe you’re afraid that people will think you’re boring if you only post once in a while. Either way, there are good reasons why you should post regularly.

Post at least once every day

If you post more than once per day, you’ll keep your audience engaged and interested in what you have to say. It’s also easier to schedule posts when you do them frequently. And finally, you’ll establish yourself as a reliable source of information.

Share links to other posts or articles

Posting regularly will give you something to talk about every day. This means you won’t need to come up with new ideas each week. Instead, you can simply repost older content. That way, you’re not only sharing valuable information, but you’re also building your reputation as a trusted source.

Include images, videos, polls, and quizzes

If you post frequently, you’ll attract more followers who enjoy seeing what’s happening in your community. They’ll appreciate the variety of content you provide. And they’ll feel connected to you because you’re providing them with regular updates.

Create a schedule

It’s easy to think that you need to be an expert to make good content. However, there are plenty of people out there who are willing to share their knowledge and expertise. All you need to do is find them and ask them to contribute to your blog.

Promote your posts through social media

If you’re looking to promote your posts, consider using social media. Social media allows you to reach more people than ever before. Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, Pinterest, Google+, Tumblr, and other platforms allow you to connect with others and share your content.

The text “invented” by the software ends here.

Artificial intelligence writes just like a human being

Isn’t it impressive? I would argue that the content is on par with that of many experienced copywriters.

I only invented the title and, with a guided process, in a few steps, the software did everything, including the invention of the fundamental parameters for search engine optimization.

Finally I translated it with Google translator.

It is not exhaustive, it is not perfect, it does not have a particular style, but I would say that it is acceptable, at least as a starting point to refine and integrate with my style and the information I consider important.

It is only a matter of time: I believe that the results will soon be even more surprising. The pace at which these instruments are perfected is so fast that soon we will be able to have a text written in the exact style of this or that journalist or writer or speaker, as has already been done with musical pieces. And when we have enough material, we will also be able to synthesize the voice of that same author and make podcasts of it, with the same technology used in the Top Gun sequel, to give back his voice to Val Kilmer who lost it due to a tumor.

What should we think of it?

Artificial intelligence writes on our behalf

At a superficial glance we could say that we have found the solution to publish something every day without too much effort. This is true.

But the question, then, is “Why on earth should we post every day?” The text that the AI ​​software wrote for me says that by doing it we improve our visibility and our reputation. In any case it would be nice to publish just when you have something to say.

We have to post every day so as not to disappear into the ocean of those who… post so as not to disappear. We are all using time and money to simply stay where we were and not retreat

The other paradoxical consideration is that we have a software write our posts so that some other software, those of search engines, can read them and certify our existence and rank on the front page of Google search results.

And all of that is about to change forever the way we write and communicate.

An Italian version of this article is available here.

Il potere dei post quotidiani

È utile postare tutti i giorni?

L’articolo che state per leggere l’ha scritto, in inglese, un software di intelligenza artificiale.

Il potere dei post quotidiani

Pensi di dover postare ogni giorno? O forse hai paura che le persone pensino che sei noioso se pubblichi solo una volta ogni tanto. In ogni caso, ci sono buone ragioni per cui dovresti postare regolarmente.

Pubblica almeno una volta al giorno.

Se pubblichi più di una volta al giorno, manterrai il tuo pubblico coinvolto e interessato a ciò che hai da dire. È anche più facile pianificare i post, quando li fai di frequente. E infine, ti affermerai come una fonte affidabile di informazioni.

Condividi link ad altri post o articoli.

Pubblicare regolarmente ti darà qualcosa di cui parlare ogni giorno. Ciò significa che non avrai bisogno di trovare nuove idee ogni settimana. Invece, puoi semplicemente ripubblicare i contenuti meno recenti. In questo modo, non stai solo condividendo informazioni preziose, ma stai anche costruendo la tua reputazione come fonte affidabile.

Includi immagini, video, sondaggi e quiz.

Se pubblichi di frequente, attirerai più follower a cui piace vedere cosa sta succedendo nella tua comunità. Apprezzeranno la varietà di contenuti che fornisci. E si sentiranno in contatto con te perché fornisci loro aggiornamenti regolari.

Promuovi i tuoi post attraverso i social media.

Se stai cercando di promuovere i tuoi post, considera l’utilizzo dei social media.

I social media ti consentono di raggiungere più persone che mai. Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, Pinterest, Google+, Tumblr e altre piattaforme ti consentono di connetterti con gli altri e condividere i tuoi contenuti.

Fine del testo “inventato” dal software.

l’intelligenza artificiale scrive proprio come un essere umano

Non è impressionante ? Direi che il contenuto se la gioca alla pari con quello di molti copywriter esperti.

Io ho inventato soltanto il titolo e, con un processo guidato, in pochi passi, il software ha fatto tutto, anche l’invenzione dei parametri fondamentali per l’ottimizzazione per i motori di ricerca.

Infine l’ho tradotto con Google traduttore.

Non è esaustivo, non è perfetto, non ha uno stile particolare, ma direi  che è accettabile, almeno come punto di partenza da raffinare ed integrare con il mio stile e le informazioni che ritengo importanti.

È soltanto questione di tempo: credo che tra non molto i risultati saranno ancora più sorprendenti.  Il passo al quale vengono perfezionati questi strumenti è talmente veloce che presto potremo avere un testo scritto nello stile esatto di questo o quel giornalista o scrittore o oratore, come è già stato fatto con i brani musicali. E quando avremo abbastanza materiale, potremo anche sintetizzare la voce di quello stesso autore e farne dei podcast, con la stessa tecnologia utilizzata nel  sequel di Top Gun, per ridare la voce a Val Kilmer che l’ha persa a causa di un tumore.

Cosa ne dobbiamo pensare?

L’intelligenza artificiale scrive al nostro posto

Ad uno sguardo superficiale potremmo dire che abbiamo trovato la soluzione per pubblicare qualcosa giorno senza troppa fatica. È questo è vero.

Ma la domanda, allora, è” Perché mai dovremmo postare tutti i giorni?”  Il testo che il software di intelligenza artificiale ha scritto per me dice che facendolo miglioriamo la nostra visibilità e la nostra reputazione. In ogni caso sarebbe bello pubblicare quando si abbia qualcosa da dire.

Me dobbiamo postare ogni giorno soltanto per non sparire nell’oceano di chi posta per non sparire. Stiamo tutti usando tempo e denaro per restare semplicemente dove stavamo  e non arretrare.

L’altra considerazione, paradossale, è che facciamo scrivere ad un software i nostri post affinché altri software,  quelli dei motori di ricerca li leggano e certifichino, in prima pagina , la nostra esistenza.

E tutto ciò sta per cambiare per sempre il modo in cui scriviamo e comunichiamo.

Una versione di questo articolo è disponibile in lingua inglese qui.

If it’s not digital, it’s not true Marketing

Il digital Marketing è la nuova frontiera del marketing anche per il commercio tradizionale

What is digital marketing? Does digital marketing really exist? I mean… can you still imagine a marketing that does without digital tools or online activities ? In my opinion no.

There is no difference between digital marketing and “traditional” marketing, except that now the entire purchasing process can be completed online. But this is nothing more than a normal evolution.

We should call all this stuff simply… Marketing.

So why is there so much insistence on this adjective? I think it’s some kind of fear. The fear of not knowing how to handle the whole mass of tools and concepts that in recent years have flooded our lives through the mobile phone screens.

Indeed, instead of enthusiastically greeting the new technical possibilities, we ended up confusing the tools with the purposes. We filled our profession with indicators and targets as if the whole matter of  marketing be solved with those tools and we forgot that even the compass and the sextants are useless if we don’t know which port we want to get to.

Nonetheless, it is true that the introduction of the digital dimension into marketing has created a real rift between the “before” and the “after”, bringing with it two very important consequences.

Marketing before and after the iPhone

The first consequence relates to how much we know about customers.

When Apple launched the iPhone back in 2007, email marketing , SEO and SEM were the most advanced frontier of marketing. Big data already existed, but we weren’t called that yet. The chains of modern distribution collected them with Loyalty programs. They weren’t sure what to do with it and therefore they kept their customers loyal with gifts collections. In the points of sale, things were a little better, because it was possible to carry out Category Management studies , tests for the introduction of new products and evaluations to optimize the purchase paths. More or less that was all.

We knew little about customers and that little we discovered with focus groups and market surveys. These studies were slow, expensive and offered generic answers, referring to the undifferentiated universe of certain categories of customers.

Then we all bought a smartphone and – without even realizing it – we started providing information about our tastes, our families, our friends, our sexual and political preferences. And again: information about the car of our dreams and the one we could afford and on the destination and duration of our holidays. While we watched Facebook and Google, they watched us and learned. They already used to  to beahave like such when we connected from the computer, but the amount of data was infinitely less. We are now connected and monitored around the clock, seven days a week. We discover products online, choose them online and buy them online.

Before smartphones, it was us who gaave data to them. Since we always have one in our pocket, they take them on their own. And they do so with a consent that we grant all too easily.

The things we know about customers

Now, thanks to the large availability of data, we can better understand the Customer journey (the consumer’s purchasing process), define our Buyer Personas (ideal customers) more precisely and then imagine a process of Marketing automation with sales process engineering and lead generation. With the funnel, we design the path by which we meet our potential audience in one of the many touchpoints they attend, we attract their attention, make them a first proposal for an essay and then we raise the bar, we make them become a customer and then we build loyalty.

And that’s not all, because once the customer has provided enough data, they no longer belong to the generic cluster of individuals they resemble in gender, tastes, habits and residences. Now Facebook, Google and many others have his precise psychographic profile and make it available to marketers in varying degrees of detail.

Even if we work well with method, perhaps with a CRM system, we can capitalize on that knowledge and increase the overall value of the relationship. And do it for the duration of his and our life. We know that finding new customers is much more expensive than retaining existing ones, so we keep them loyal. After all, why not stay together “until death do us part”?

One to One Marketing

With this information we can create literally different messages and marketing initiatives for every person on the planet. This is the first consequence of digital: the era of messages and “one to many” initiatives is over. And the communications and marketing projects “One to one” began.

As we know, this matter is ethically very delicate. The risks of privacy violation and manipulation are many. The Cambridge Analytica scandals, with support for Brexit and Mr.Trump’s election confirmed this. Here we can limit ourselves to considering the positive side: greater efficiency in sending relevant messages to people who could really benefit from them.

Conversational Marketing

The second, incredible, innovation introduced by digital tools in marketing is that customers can now respond to the messages we send them: communication is one-to-one, it is an interaction.

We can stop making assumptions and – instead – explicitly ask for their opinion. We can listen to specific requests and increase the level of service we provide.

This is the opportunity, never had before, to interact with the public and obtain directions for developing products and services that truly respond to market demand. Whether explicit or latent.

In this way, the concept of “Ready to Customer Order ” is spread to each category and the risk of producing goods that will remain unsold is reduced. The whole chain of Lean manufacturing  finally makes sense.

Our Customers’ Voice

The customer is no longer passive either . He can exchange information about our product or service and not only with us: he is part of one or more communities, influences others and is – in turn – influenced by them. In this way, a global democracy of judgments and opinions was born. Peer ratings are as important as expert ratings, and sometimes even more, because they cover 100% of the common user experience.

Managing these relationships is certainly very complex, because the points of contact are innumerable and conversations almost always take place in public, where everyone will notice evasive or disrespectful attitudes.

In all these points of contact we must interact with coherence, uniformity of style and appropriate tone of voice. Digital increases the potential, but also the risks. Reputation builds slowly, but can be destroyed in less than a second..

The pitfalls of digital marketing

Why are these two changes produced by digital marketing tools, precise psychographic profiles and multiple interactions relevant? Because with all this information and interactions, it would be reasonable to expect better, more efficient and cheaper goods and services. Is this what’s really happening? It seems like no. Or, at least, not on a large scale.

However, something unexpected is happening: the availability of advanced technology at low cost has significantly increased the use of these tools even by those who, before, would not have had the necessary budget. The number of companies and professionals who today compete online for customers’ attention and time – always the same customers – has practically exploded.

What Is Digital Marketing? Just a way to destroy people’resilience?

The belief that we must play at all tables has led many companies and organizations, even small ones, to multiply the touchpoints in which they hope to intercept customers. So, not only do they end up being repeatedly exposed to the same messages, but this also raises management costs, as it requires to effectively monitor the “places” in which these exchanges take place.

To contain this increase, companies and organizations are induced to resort once again to technology and its automated solutions.

So as soon as you land on a site, you are attacked by a petulant bot that offers its help, the telephone operator of the company you subscribed with, responds with a system based on artificial intelligence (and maybe it does not solve the problem either) and Alexa tries to sell you ” unlimited  music” subscription. These ways of interacting, however, risk aggravating the problem they would like to solve.

This informational and relational pollution ends up by lowering the threshold of attention and the reactivity to new communications. In addition, web users are starting to use countermeasures such as ad – blockers , ie applications for blocking advertising.

People react as they can: they are interested in your messages just as long as they don’t feel hunted.

Rethinking digital marketing

In addition to overload problems, there is another, even greater risk: that of putting all faith in digital tools and forgetting about the strategy.

Because even now that we know everything about our customers, now that we can decide to send a message only to male primary school teachers, with traditional families, who have three children and love albino dogs, live in a small city in the South, in a house they own… what are we talking about to them? And what do we do with their answers?

Let’s assume we have established that these are our buyer personas. It was our intuition or our tools to suggest that. Therefore the purchase intention will be high and that is a promising target.

However, important decisions remain to be taken on what to produce and where, for which customers, at what costs and with which Pricing strategy.

The Old Good Marketing

It will not be SEO, big data, Content Strategy, Click-Through Rate , interactions with a Facebook post or some other KPI to answer these questions. Nor will they help us decide whether to enter a market by evaluating the crowding rate of competitors and profit margins. Online marketing will not formulate our Value proposition or establish the ideal positioning of our brand. These decisions have to be taken before we start using Digital tools of any form. Its indicators are only useful tools for correcting the course. They do not solve the fundamental questions of which direction to take.

All these things – instead – need to be established them with a strategic marketing plan done the old way. It is that plan that, in a manner consistent with the objectives, will establish whether online activities should have a role and what it will be. Just as it always has been for any marketing operation.

Without these fundamental skills, we have something digital, but it is not marketing and we are – at best – good helmsmen, not admirals.

An Italian version of this article can be read here

Photo by Quintin Gellar

Se non è digitale non è vero marketing

Il digital Marketing è la nuova frontiera del marketing anche per il commercio tradizionale

Che cos’è il digital marketing? Il digital marketing esiste davvero? Intendo dire… si può ancora immaginare un marketing che faccia a meno degli strumenti digitali, delle attività online? A mio avviso no. Non esiste differenza tra il marketing digitale e il marketing “tradizionale”, salvo il fatto che ora tutto il processo d’acquisto può completarsi online. Ma questa non è altro che una normale evoluzione.

Dovremmo chiamare tutta questa roba semplicemente… Marketing.

E allora perché si insiste così tanto su quest’aggettivo? Io credo che sia per una sorta di paura. La paura di non saper maneggiare tutta la massa di strumenti e concetti che negli ultimi anni hanno inondato le nostre vite attraverso lo schermo del telefonino.

In effetti, invece di salutare con entusiasmo le nuove possibilità tecniche, abbiamo finito per confondere gli strumenti con gli scopi, Ci siamo riempiti la professione di indicatori e target come se il marketing potesse esaurirsi in essi e ci siamo dimenticati che anche la bussola e il sestante sono inutili, se non sappiamo a quale porto vogliamo arrivare.

Però è vero che l’ingresso del digitale nel marketing ha creato una vera e propria frattura tra il “prima” e il “dopo”, portando con sé due importantissime conseguenze.

Il marketing prima e dopo l’iPhone

La prima di queste conseguenze riguarda ciò che sappiamo sui clienti.

Quando Apple lanciò l’iPhone nel 2007, l’e-mail marketing, la SEO e il SEM erano la frontiera più avanzata del marketing. I Big data esistevano già, ma non si chiamavamo ancora così. Li raccoglievano le catene della grande distribuzione con le Loyalty card. Non sapevano bene cosa farsene e  perciò ci fidelizzavano i clienti con le raccolte a premio. Nei punti di vendita le cose andavano un po’ meglio, perché si potevano fare studi di Category Management, test per l’introduzione di nuovi prodotti  e valutazioni per ottimizzare i percorsi d’acquisto. Più o meno era tutto qui.

Sui clienti sapevamo poco e quel poco lo scoprivamo con focus group e indagini di mercato. Questi studi erano lenti, costosi e offrivano risposte generiche, riferite all’universo indifferenziato di certe categorie di clienti.

Poi tutti abbiamo comprato uno smartphone e – senza nemmeno rendercene conto – abbiamo iniziato a fornire informazioni sui nostri gusti, le nostre famiglie, i nostri amici, le nostre preferenze sessuali e politiche. E ancora: sull’auto dei nostri sogni e quella che ci potevamo permettere e sulla destinazione e la durata delle nostre vacanze. Mentre noi guardavamo facebook e Google, loro guardavano noi e imparavano. Lo facevano già quando ci collegavamo dal computer, ma la quantità di dati era infinitamente minore. Ora siamo connessi e monitorati ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette. Scopriamo i prodotti online, li scegliamo online e li compriamo online.

Prima degli smartphone i dati glieli davamo noi. Da quando ne abbiamo uno sempre in tasca, se li prendono da soli. E lo fanno con un consenso che concediamo fin troppo facilmente.

Le cose che sappiamo sui clienti

In questo modo, grazie alla grande disponibilità di dati, possiamo capire meglio il Customer journey (processo d’acquisto del consumatore) definire con maggior precisione le nostre Buyer persona (i clienti ideali) e poi immaginare un processo di  Inbound Marketing con Funnel di vendita e  Lead generation.  Con il funnel progettiamo il percorso con cui incrociamo il nostro pubblico potenziale in uno dei molti touchpoint che frequenta, attiriamo la sua attenzione, gli facciamo una prima proposta di saggio e in seguito alziamo il tiro, lo facciamo diventare cliente e poi lo fidelizziamo.

E non è tutto qui, perché una volta che il cliente abbia fornito dati a sufficienza, non appartiene più al generico cluster di individui cui somiglia per sesso, gusti, abitudini e residenza. Ora Facebook, Google  e molti altri possiedono il suo  preciso profilo psicografico e lo mettono a disposizione del marketing  in diversi gradi di dettaglio.

Persino, noi, se lavoriamo bene con metodo, magari con un sistema di CRM, possiamo capitalizzare quella conoscenza e accrescere il valore complessivo della relazione. E farlo per tutta la durata della sua e della nostra vita. Sappiamo bene che trovare nuovi clienti è molto più costoso che fidelizzare quelli  acquisiti, perciò li fidelizziamo. Infondo, perché non restare insieme “finché morte non ci separi”?

Marketing One to One

Con queste informazioni possiamo creare messaggi ed iniziative di marketing letteralmente diverse per ogni persona del pianeta. È questa la prima conseguenza del digitale: l‘epoca dei messaggi e delle iniziative “one to many” è finita. Ed è iniziata quella delle comunicazioni e dei progetti di marketing “One to one”.

Come sappiamo, questa materia è eticamente molto delicata. I rischi di violazione della privacy e di manipolazione sono molti. Gli scandali di Cambridge Analytica, con il supporto alla Brexit e all’elezione di Trump lo hanno confermato. Noi qui possiamo limitarci a considerare il lato positivo: una maggior efficienza nell’invio di messaggi pertinenti a persone che potrebbero trarne un vero vantaggio.

Il Marketing conversazionale

La seconda, incredibile, innovazione introdotta dagli strumenti digitali nel marketing è che ora i clienti possono rispondere ai messaggi che gli inviamo: la comunicazione è biunivoca, è un’interazione.

Possiamo smettere di fare ipotesi e – invece – chiedere esplicitamente la loro opinione. Possiamo ascoltare delle richieste specifiche e aumentare il livello di servizio che forniamo.

Si tratta dell’occasione, mai avuta prima, di interagire con il pubblico e ottenere linee guida per sviluppare prodotti e servizi che rispondano davvero ad una domanda di mercato. Esplicita o latente che sia.

In questo modo si diffonde ad ogni categoria il concetto di “Ready to Customer Order”  e si riduce il rischio di produrre beni che resteranno invenduti. Tutta la catena della Lean production e il Just in time hanno finalmente un senso compiuto.

Ma anche il cliente non è più passivo. Può scambiare informazioni sul nostro prodotto o servizio e non soltanto con noi: fa parte di una o più community, influenza altri e ne è – a sua volta influenzato.  In questo modo è nata una democrazia globale dei giudizi e delle opinioni. Le valutazioni dei pari contano quanto quelle degli esperti e a volte anche di più, perché riguardano il 100% dell’esperienza dell’utente comune.

Governare queste relazioni è certamente molto complesso, perché i punti di contatto sono innumerevoli e le conversazioni avvengono quasi sempre in pubblico, dove tutti potranno notare atteggiamenti evasivi o non rispettosi.

In tutti questi punti di contatto dobbiamo interagire con coerenza, uniformità di stile e tono di voce appropriato. Il digitale aumenta le potenzialità, ma anche i rischi. La reputazione si costruisce lentamente, ma si può distruggere in un istante.

Le insidie del marketing digitale

Perché sono rilevanti questi due cambiamenti prodotti dagli strumenti digitali di marketing, profili psicografici precisi e molteplici interazioni? Perché con tutte queste informazioni e interazioni, sarebbe lecito attendersi beni e servizi migliori, più efficienti e a buon mercato. È quel che sta accadendo davvero? Sembra di no. O, perlomeno, non su vasta scala.

Sta accadendo, però, qualcosa di imprevisto: la disponibilità di tecnologia evoluta a basso costo ha accresciuto sensibilmente il ricorso a questi strumenti anche da parte di chi, prima, non avrebbe avuto il budget necessario. Il numero di aziende e professionisti che oggi si contendono online l’attenzione e il tempo dei clienti – sempre gli stessi – è praticamente esploso.

La convinzione che si debba giocare su tutti i tavoli, ha indotto moltissime imprese  e organizzazioni, anche piccole, a moltiplicare i touchpoint nei quali sperano di intercettare i clienti. In questo modo, non soltanto essi finiscono per essere ripetutamente esposti  ai medesimi messaggi, ma ciò alza anche i costi di gestione, in quanto richiede la necessità di presidiare  efficacemente i “luoghi” in cui avvengono questi scambi.

Per contenere tale incremento imprese e organizzazioni sono indotte a ricorrere ancora una volta alla tecnologia, con soluzioni automatizzate.

Perciò appena atterrati su un sito, si viene assaliti da un bot petulante che offre il proprio aiuto, il gestore telefonico, risponde con un sistema basato sull’intelligenza artificiale (e magari non risolve il problema)  e Alexa cerca di vendere abbonamenti musicali “unlimited”. Queste modalità di interazione, tuttavia, rischiano di aggravare il problema che vorrebbero risolvere.

Questo inquinamento informativo e relazionale finisce per abbassare la soglia dell’attenzione e la reattività alle nuove comunicazioni. Inoltre,  gli utenti del web  cominciano ad adoperare contromisure come gli Ad-blocker, ossia applicazioni per il blocco della pubblicità.

Si reagisce come si può: le persone potrebbero anche essere interessate a questi messaggi, solo che si sentono braccate.

Ripensare il marketing digitale

Oltre ai problemi di sovraccarico, esiste un altro rischio, anche maggiore: quello di riporre tutta la fiducia negli strumenti digitali e dimenticare la strategia.

Perché anche ora che sappiamo tutto sui clienti, ora che possiamo decidere di far recapitare un messaggio ai soli  insegnanti di scuola elementare maschi, con famiglie tradizionali, che hanno tre bambini e vivono nella piana di Gioia Tauro, in una casa di proprietà e amano ti cani albini … di cosa gli parliamo? E cosa ne facciamo, delle loro risposte?

Ad esempio, abbiamo stabilito che sono queste le nostre buyer persona. Ce lo dice il nostro intuito oppure i nostri strumenti. Perciò l’intenzione d’acquisto sarà elevata e quello è un target promettente.

Rimangono, però, da prendere le decisioni importanti su cosa produrre e dove, per quali clienti, con quali costi e con quale Strategia di prezzo.

Non saranno la SEO, i big data, la Content Strategy, il Click-Through Rate, le interazioni con un post di facebook o qualche altro KPI a dare una risposta a queste domande. E neppure ci aiuteranno a decidere se entrare in un mercato valutando il tasso di affollamento dei competitor e i margini di profitto. Non sarà il marketing online a formulare la nostra Value proposition o stabilire il posizionamento ideale del nostro brand.  I suoi indicatori sono soltanto utili strumenti che servono per correggere la rotta. Non risolvono le questioni fondamentali sulla direzione da prendere.

Tutte queste cose – invece – le dovremo stabilire con un piano di marketing strategico fatto alla vecchia maniera. È quel piano che, in maniera coerente con gli obiettivi, stabilirà se le attività online dovranno avere un ruolo e quale sarà. Proprio, come è sempre stato per qualsiasi attività operativa di marketing.

Senza queste competenze fondamentali, c’è il digital, ma non il marketing e noi siamo al massimo dei bravi timonieri, non degli ammiragli.

You can find an English version of this article in the blog section.

Is the brand image bullshit?

Automobli Ferrari parcheggiate in una località turistica in Italia

Is the corporate image bullshit? Many believe it. The communications manager of an important organization confessed to me – sadly – that her partners, esteemed managers and professionals, regularly circumvent the standards established for internal or external documents. In every reference to the official style they see every excessive bureaucratization and refuse to take it into account.

Yet, like all of us, they are influenced by perceptions.
All of us, when we recognize the logo on a car, we get an idea of ​​its price, its performance and its reliability. If that vehicle had another logo, our conclusions would also be different. It happens every day with objects and even with people.

The evocative power of the brand

It happens because the brand has a great evocative power. It happens because the one stuck on the products is not just a logo, but the hallmark of a Brand.
This banal observation often struggles to be understood.
A brand is a set of components of which the brand is only the most visible part, the tip of the iceberg. Day after day, we learn to recognize brands and, without even realizing it, we accumulate experiences and information even on the hidden part of the iceberg: brands.
Through brands and visual identity, we get used to associating each brand with a specific style of action, a certain quality and certain values. His reputation, in short.
At the mere sight of the logo, a whole universe of meanings comes to mind. In this way, brands don’t have to re-explain who they are and what they do every time, but can simply add the specific information they want to get to the public.
Visual recognition improves effectiveness and capitalizes on investments in communication. This is why companies and organizations put so much effort into getting it.

The importance of a brand’s recognizability

After all, it’s not even that important that we have a nice logo and a refined and elegant image. What matters is that we behave in a manner consistent with the identity we have built.
Yes, because for the best-known brands, recognition is not a product of chance, but the result of voluntary and deliberate actions.
For larger organizations, the visual identity is designed at the table by a team, which designs it in accordance with the story you want to tell, the Vision and Mission of the brand. Even the name is defined in a reasoned way (there are agencies that deal only with this): it must be short, memorable, evocative and easily pronounced in all geographical areas. Nothing is left to chance. Not out of narcissism, but because the construction of a brand and its value necessarily pass through visual recognition. For the public, the brand image is a promise.

Squander the value of the brand

But that promise must be kept by all members of the organization that identifies with the brand, it is not enough for top management to adapt to it.
Unintentionally damaging a brand and its brand is easy. For example, members of an organization can do this when they distort the logo on documents or on the web, when they use it with colors “almost the same as the official ones” or when they send newsletters with typefaces “nicer than the one imposed”.
The success or failure of a business depends on keeping that promise. And even more than economic damage, the damage is to reputation, because if not even the brand manages to be equal to itself, how can we expect everything else to be? The public is disoriented, does not recognize the interlocutor, does not know what to expect. But he sees a bad organization and loses confidence.
The damage never concerns only the management of an organization or its property: failure produces undesirable consequences on each of its components. Repairing that damage could be very expensive or even impossible.
It is for this reason that a company or organization should make sure that all members know the guidelines on corporate image and the importance of following them, because what seems trivial margins of freedom risk undermining the serious work that is done. the rest of the time

Photo by Gabe G: https://www.pexels.com/photo/view-of-bus-250154/

La brand image è una cavolata?

Automobli Ferrari parcheggiate in una località turistica in Italia

L’immagine aziendale è una cavolata? Lo credono in molti. La responsabile della comunicazione di  un’importante organizzazione mi ha confessato – sconsolata – che i suoi soci, stimati manager e professionisti, aggirano regolarmente gli standard stabiliti per i documenti interni o esterni .  Per loro la brand image non è una componente essenziale del successo. Anzi: in ogni richiamo allo stile ufficiale vedono ogni un’eccessiva burocratizzazione e si rifiutano di tenerne conto.

Eppure, come tutti noi, sono influenzati dalle percezioni.

Tutti noi, quando riconosciamo il marchio su un’automobile, ci facciamo un’idea sul suo prezzo, le sue prestazioni e la sua affidabilità. Se quel veicolo avesse un altro marchio, anche le nostre conclusioni sarebbero diverse. Succede ogni  giorno con gli oggetti e, addirittura, con le persone.

Il potere evocativo del marchio

Succede perché Il marchio ha un grande potere evocativo. Succede perché quello appiccicato sui prodotti non è un semplice logo, ma il segno distintivo di un Brand.

Questa banale osservazione, spesso fatica ad essere compresa.

Un brand, una marca, è un insieme di componenti di cui il marchio è soltanto la parte più visibile, la punta dell’iceberg. Giorno dopo giorno, impariamo a riconoscere i marchi e, senza nemmeno rendercene conto, accumuliamo esperienze ed informazioni anche sulla parte nascosta degli iceberg:  i brand .

Attraverso i marchi e l’identità visiva, ci abituiamo ad associare ad ogni brand un preciso stile d’azione, una determinata qualità e certi valori. La sua reputazione, insomma.

Alla sola vista del logo, tutto un universo di significati ci torna alla mente. In questo modo, i brand non devono rispiegare ogni volta chi sono  e cosa fanno, ma possono limitarsi ad aggiungere l’informazione specifica che vogliono far arrivare al pubblico.

La riconoscibilità visiva migliora l’efficacia e capitalizza gli investimenti in comunicazione. È per questo che le aziende e le organizzazioni fanno così tanti sforzi per ottenerla.

L’importanza della riconoscibilità di un brand

In fondo non è nemmeno tanto importante che abbiamo un bel logo e un’immagine ricercata ed elegante. Ciò che importa è che ci comportiamo in maniera coerente con l’identità che abbiamo costruito.

Già, perché per i brand più noti, la riconoscibilità non è un prodotto del caso, ma il frutto di azioni volontarie e deliberate.

Per le organizzazioni più grandi, l’identità visiva è progettata a tavolino da un team, che la disegna in accordo con la storia che si vuole raccontare, la Vision e la Mission del brand. Persino il nome, viene definito in maniera ragionata (ci sono agenzie che si occupano soltanto di questo): deve essere breve, memorabile, evocativo e facilmente pronunciabile in tutte le aree geografiche. Nulla è lasciato al caso. Non per narcisismo, ma perché la costruzione di un brand e il suo valore passano necessariamente per la riconoscibilità visiva. Per il pubblico, l’immagine  del brand costituisce una promessa. 

Sperperare il valore del brand

Ma quella promessa deve essere mantenuta da tutti i componenti dell’organizzazione che si identifica col brand, non basta che vi si adeguino i vertici.

Danneggiare involontariamente un brand e il suo marchio è facile. Ad esempio, possono farlo i membri di un’organizzazione quando distorcono il logo sui documenti o sul web, quando lo utilizzano con colori “quasi uguali a quelli ufficiali” o quando inviano newsletter  con caratteri tipografici “ più simpatici di quello imposto” .

Il successo o l’insuccesso di un’impresa passa dal mantenimento di quella promessa. E prima ancora che economico, il danno è di reputazione, perché se neppure il marchio riesce ad essere uguale a se stesso, come ci si può aspettare che lo sia tutto il resto? Il pubblico rimane disorientato, non riconosce l’interlocutore, non sa cos’aspettarsi. Però vede una cattiva organizzazione e perde fiducia.

Il danno non riguarda mai soltanto la Direzione di un’organizzazione o la sua proprietà: l’insuccesso produce conseguenze indesiderate su ogni sui componente. Rimediare a quel danno potrebbe essere molto costoso o, addirittura impossibile.

È per questa ragione che un’azienda o un‘organizzazione dovrebbero accertarsi che tutti i membri conoscano le linee guida sull’immagine aziendale e l’importanza di seguirle, perché quelli che sembrano banali margini di libertà rischiano di vanificare il lavoro serio che si fa nel resto  del tempo